L'altra agricoltura… - Inea
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TESTIMONIANZE<br />
IL PROGETTO DI ORTO-GIARDINI NATURALI A SCUOLA<br />
DI GIANFRANCO ZAVALLONI<br />
Vengo dalla Romagna, da Cesena, che è la patria dell’agricoltura industriale fin dagli inizi del secolo scorso.<br />
In pratica, l’agricoltura industriale, in Italia, è nata dalle nostre parti. Vorrei raccontarvi la storia che ci ha fatto<br />
arrivare a questo progetto. Io sono figlio di contadini, sono nato a metà degli anni ’50, in un periodo storico<br />
in cui essere contadino non era uno status symbol. Se volevi offendere qualcuno dicevi: “Stai zitto che sei<br />
un contadino e non capisci niente”. Quindi, dicevo, in quegli anni, l’Italia diventa industriale e rinnega le sue<br />
origini. All’epoca l’Italia era definita “giardino d’Europa”, non perché fosse particolarmente fiorita, ma perché<br />
l’agricoltura nel nostro Paese esprimeva una diversificazione eccezionale. Avevamo probabilmente la<br />
più alta biodiversità di agricoltura al mondo. L’Italia è lunga e stretta, è attraversata da due o tre paralleli,<br />
ciò significa che presenta un varietà climatica notevole; partiamo da un clima di tipo alpino e arriviamo ad<br />
un clima di tipo africano. In questa varietà, se un contadino non è in grado di sapersi adattare al terreno, alle<br />
varie quote, non riesce a vivere. Inoltre, a proposito di tradizione contadina, dobbiamo ricordare che il<br />
contadino è il ricercatore per eccellenza, certo molto diverso rispetto al ricercatore universitario, il contadino<br />
non scrive il suo sapere ma, ad esempio, riesce a produrre in Italia, 37 varietà di fagioli. Il problema oggi è<br />
quello di capire perché in Italia i contadini riuscivano a coltivare 55 varietà di grano e ora ne son rimaste 3?<br />
Come dicevo prima, sono figlio di contadini, mio padre era uno di quei tanti agricoltori che con 13 mila mq<br />
di terreno riuscì a far vivere una famiglia di cinque persone. All’inizio praticava la cosiddetta agricoltura “naturale”,<br />
poi l’agricoltura industriale e poi, a metà degli anni ’80, decise che, se voleva continuare a fare il contadino,<br />
doveva cambiare radicalmente e abbandonare l’agricoltura convenzionale. La decisione di cambiare<br />
fu presa anche per un altro motivo: oggi qui rappresento l’ecoistituto di Cesena, che allora si chiamava “centro<br />
di formazione non violenta”. Cosa fa questa associazione di volontariato? All’inizio ha effettuato una<br />
raccolta di materiali e di documentazione avente per oggetto il proprio territorio. Perché? Perché Cesena,<br />
aveva un triste primato, era riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come la città con la più<br />
alta percentuale di tumori allo stomaco al mondo. Ci ponemmo questo problema come ecoistituto, e organizzammo<br />
il I° corso di agricoltura biologica in Romagna. Chiedemmo sostegno ai politici, almeno per ricevere<br />
un contributo per sostenere le spese per i relatori, ma si rifiutarono categoricamente.<br />
In Emilia Romagna ad oggi sono censite oltre 2000 aziende biologiche. In quegli anni, invece, chi coltivava<br />
in maniera biologica, andava al mercato ed era deriso. Ma era normale, si trattava di condurre pratiche diverse<br />
dalla consuetudine, in un territorio dove dominava l’agricoltura industriale, e questo non aveva nessun<br />
senso dal punto di vista economico. Comunque, nonostante il clima ostile, venne fondata ed organizzata<br />
la prima cooperativa che si occupa di biologico in Italia. Mio padre morì nel 2004 e, noi tre fratelli, piuttosto<br />
che abbandonare questa pratica, decidemmo di andare avanti in questa attività. Tutti ci ripetevano:<br />
“Ma perché lo fate, non conviene”. Ma noi siamo andati avanti. Devo effettivamente ammettere che è una<br />
RETELEADER 197