L'altra agricoltura… - Inea
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state citate richiedono presidio, capacità di far tesoro dell’esperienza, crescita di competenze specifiche e riteniamo<br />
che questa figura, interna a queste reti (abbiamo formato non degli esperti esterni che riflettono sulle<br />
reti, ma un membro delle reti esistenti affinché potessero gestire meglio le relazioni e i servizi necessari<br />
per far crescere queste stesse reti); e poi c’è stato un lungo periodo di sperimentazione sulle ipotesi emerse<br />
nella fase precedente di analisi, indagine e di ricerca-azione. Cosa fanno in genere questi distretti locali di economia<br />
solidale? Si costruiscono dal basso con processi bottom-up attorno a principi condivisi, a valori. Il secondo<br />
passo è quasi sempre quello di mappare tutte le reti esistenti sul proprio territorio che possono far riferimento<br />
a progetti come quello del distretto di economia solidale. Viene estesa una carta dei criteri e dei<br />
principi e poi si da vita alla prima iniziativa comune che cerca di render visibile il progetto e rafforzare le relazioni<br />
di rete tra i soggetti partecipanti, metterli direttamente in contatto con i consumatori: la fiera. Un<br />
esempio di fiera dell’economia solidale è “Terra Futura” a Firenze, diventata molto importante e ragguardevole<br />
anche rapportata al numero di partecipanti. Se ne fanno altre anche a livello locale.<br />
Poi cominciano i problemi perché dopo aver fatto questi passi il distretto si misura con le altre reti per il processo<br />
che prima è stato descritto di allargamento, di relazioni, interconnessioni, si misura con le pubbliche amministrazioni.<br />
I primi passi nelle esperienze: in questo libro 5 definisco una trentina di questi progetti a livello<br />
nazionale, dal trentino fino alla Sicilia (tutti processi che nascono dal basso senza il rapporto con gli Enti<br />
Pubblici salvo alcune esperienze), di cui la più importante è quella della Città dell’altra economia di Roma che<br />
nasce da un progetto del Comune, e, rispetto alla classificazione che è stata fatta anche prima, è uno dei pochissimi<br />
progetti di questo tipo all’interno di un contesto che nasce direttamente dall’alto in rapporto con la<br />
pubblica Amministrazione. Però, la caratteristica più importante di questi interventi è il tentativo di cambiare<br />
i flussi economici, le relazioni economiche tra produttori e consumatori a partire da alcune tipologie di<br />
progetto. Esse sono, da un lato le filiere corte e quindi il rendere la filiera rispetto ai territori d’intervento la<br />
più corta possibile dal punto di vista sia delle distanze messe in gioco ma anche degli attori che vengono<br />
coinvolti; poi ci sono progetti di sensibilizzazione dei consumatori, il più importante dei quali è stato fatto a<br />
Venezia e si chiamava “cambieresti”, promosso dal Comune di Venezia. Ci sono state anche tante altre iniziative<br />
in altri territori: i mercati contadini, i mercati solidali, i piccoli mercati territoriali e poi ci sono altre<br />
esperienze che tendono a declinare nel filo diretto tra produttori e consumatori con iniziative specifiche. C’è<br />
un’ultima colonna che è quella dei fatti pubblici; perché? (figura 1)<br />
Perché una delle ipotesi su cui si misura l’intervento di questi distretti (adesso io ne parlo sia come ricercatore,<br />
ma anche come partecipante appassionato) è quello di creare zone di economia liberata, alternativa,<br />
rispetto a quella dominante che naturalmente sul piano territoriale fa i conti con altre iniziative dello stesso<br />
segno. Prima sono stati citati i movimenti per i beni comuni, quindi con altri spazi pubblici. Pertanto, una<br />
delle scommesse su cui si gioca il futuro è a mio parere, la capacità di condividere questi spazi pubblici con<br />
gli altri attori che hanno a cuore il futuro sostenibile dei propri territori.<br />
5 Biolghini D., Il popolo dell’economia solidale. Alla ricerca di un’altra economia, EMI, 2007.<br />
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