volume - Camera dei Deputati
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Daniele Negri<br />
una sua proterva gestione, mentre l’odierno meccanismo sospensivo, introdotto con legge<br />
ordinaria, assicura spazi di immunità analoghi o addirittura maggiori a prescindere da<br />
qualunque diagnosi circa l’accanimento contro l’alto dignitario ravvisabile nella condotta<br />
degli organi della giustizia penale.<br />
Di qualità «apprezzabile» va piuttosto ritenuto, dunque, l’altro aspetto evocato nella<br />
sent. n. 24/2004, ossia l’«interesse pubblico» allo svolgimento <strong>dei</strong> compiti connessi alle<br />
funzioni di vertice, la cui salvaguardia da una indiscriminata prevalenza delle ragioni<br />
del processo è «strumentale» al «migliore assetto» <strong>dei</strong> rapporti tra i poteri costitutivi<br />
dello Stato di diritto nel quadro della loro reciproca autonomia e indipendenza: così<br />
sembra lecito rileggere il frasario criptico della Corte costituzionale nella specifica occasione,<br />
alla luce di quanto dalla stessa statuito con la sent. n. 225/2001. Si tratta di doveri<br />
istituzionali che possono confliggere sino a risultare oggettivamente incompatibili,<br />
per ragioni spazio-temporali, con la partecipazione personale all’udienza del presidente<br />
in veste d’imputato. Costui è perciò abilitato ad addurre la simultanea occupazione legata<br />
all’ufficio come legittimo impedimento a comparire, là dove il contestuale impegno<br />
lavorativo di regola non giustifica l’assenza del comune cittadino chiamato a giudizio:<br />
l’interesse a non ostacolare l’effettivo funzionamento degli organi costituzionali va ponderato<br />
– in tal senso è «apprezzabile» – con l’esigenza di celebrare il processo.<br />
2. La questione consiste allora nello stabilire se «in armonia» con i principi fondamentali<br />
si ponga soltanto la “leale” applicazione da parte del giudice delle regole di diritto<br />
comune (art. 420-ter c.p.p.), oppure sia consentita al legislatore la previsione di<br />
un’apposita disciplina derogatoria. Quanto alla forma, il rispetto di sedimentate categorie<br />
dogmatiche garantisce razionalità all’opzione normativa, ma non è comunque risolutivo.<br />
Certo l’istituto della sospensione processuale, a patto che si accompagni ad una<br />
stasi equivalente <strong>dei</strong> termini prescrizionali, va preferita in astratto alla figura dell’improcedibilità,<br />
giammai suscettibile di impedire l’estinzione del reato per l’incedere del tempo;<br />
in quest’ultimo caso si computano, difatti, anche i periodi trascorsi dopo l’absolutio<br />
ab instantia e durante il processo di nuovo iniziatosi, una volta che il titolare sia decaduto<br />
dalla carica.<br />
Pure la scelta legislativa a favore della sospensione processuale non è tuttavia libera<br />
da vincoli di compatibilità con i valori costituzionali, quanto a identificazione e misura<br />
delle finalità perseguibili attraverso di essa. La violazione del principio sancito all’art.<br />
112 Cost. è solo timidamente prospettata, da parte delle due ordinanze di rimessione milanesi,<br />
nella probabile consapevolezza del netto orientamento espresso dalla Corte costituzionale<br />
circa l’ambito di incidenza di quel precetto sopraordinato: l’obbligatorietà<br />
dell’azione penale non rileva «oltre il momento iniziale dell’impulso dato dal pubblico<br />
ministero» (sent. n. 460/1995), sicché resterebbero estranee al vincolo le ipotesi di blocco<br />
della successiva fase stricto sensu processuale, quand’anche l’interesse esterno e alternativo<br />
al perseguimento del reato, invocato a sostegno della dilazione, non avesse<br />
piena caratura costituzionale ma fosse – com’è il nostro caso – soltanto «apprezzabile».<br />
Senza sovvertire la gerarchia delle fonti, una conclusione opposta si potrebbe invece<br />
trarre valorizzando come criterio interpretativo l’art. 50, comma 3, c.p.p., il quale appunto<br />
colloca sistematicamente il fenomeno della sospensione processuale sotto il titolo<br />
dedicato all’azione penale.<br />
Rimane da considerare il principio della ragionevole durata del processo, del resto<br />
già apertamente richiamato nella sent. n. 24/2004 e in grado di assumere un rilievo<br />
maggiore di quanto non si sia di solito disposti a riconoscergli. Sappiamo infatti come la