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volume - Camera dei Deputati

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280<br />

Paolo Veronesi<br />

di confine tra quanto è ulteriormente disciplinabile dalla legge ordinaria e quanto invece<br />

le è necessariamente precluso. Sono infatti tali rationes che – come si evince dalla sent.<br />

costituzionale n. 300/1984 – a volte potrebbero essere ulteriormente declinate mediante<br />

leggi ordinarie. Proprio per questo, a proposito dell’autorizzazione a procedere di cui<br />

all’allora vigente art. 68, comma 2, Cost., la Corte affermò che se «non sempre» è «vietato<br />

al legislatore di riprodurre per legge ordinaria, e per altre ipotesi, disposizioni contenute<br />

nella Costituzione», tuttavia di questo «non può farsene una regola generale,<br />

giacché occorre guardare alla natura <strong>dei</strong> principi sanciti nella Carta fondamentale e alla<br />

ratio della loro costituzionalizzazione», «dato che immunità e prerogative, concesse per<br />

legge ordinaria sicuramente determinerebbero diseguaglianze fra i cittadini, in ordine<br />

alle quali l’apprezzamento di razionalità troverebbe pur sempre nell’art. 68, comma 2,<br />

Cost, il tertium comparationis» 6 . È evidente che il ragionamento della Corte procedeva<br />

ben oltre il confine dell’autorizzazione a procedere, esprimendo un principio applicabile<br />

a qualsiasi “immunità e prerogativa”, comprese quelle destinate a garantire il “sereno<br />

svolgimento delle funzioni istituzionali” (oppure – come ora si sostiene – le modalità di<br />

esercizio del diritto di difesa di taluni organi apicali).<br />

2. Quali sono dunque le rationes che le norme costituzionali pongono a fondamento<br />

delle varie prerogative predisposte a favore di chi ricopre incarichi di vertice? Quali particolari<br />

motivi giustificano queste puntuali deroghe ai principi di uguaglianza (art. 3<br />

Cost.), di separazione <strong>dei</strong> poteri, di ragionevole durata <strong>dei</strong> processi (art. 111) e, talvolta,<br />

di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112)?<br />

Sul più circoscritto fronte delle irresponsabilità – che peraltro non rileva nel nostro<br />

caso – queste ragioni sono nitidamente ricavabili dalla sent. costituzionale n. 148/1983:<br />

la Corte derivò infatti dalla «logica del disegno costituzionale» la causa di non punibilità<br />

predisposta dall’art. 5 della legge ordinaria n. 1 del 1981 a favore delle opinioni espresse<br />

dai membri del C.S.M. e «concernenti l’oggetto della discussione» di volta in volta loro<br />

riservata. Tale previsione legislativa permette dunque ai consiglieri di svolgere con serenità<br />

gli «apprezzamenti sulle attitudini, sui meriti e sui demeriti <strong>dei</strong> magistrati da assegnare<br />

ai vari uffici, da trasferire, da promuovere, da sottoporre a procedimenti disciplinari<br />

e via dicendo». La Corte ritenne quindi che quell’immunità fosse implicitamente<br />

ammessa dalla Costituzione proprio per proteggere l’indipendenza strettamente funzionale<br />

<strong>dei</strong> membri del Consiglio. Nella circostanza fu insomma utilizzato il “calco”<br />

dell’art. 68, comma 1, Cost., nonché la specifica idea di “sereno svolgimento delle funzioni”<br />

istituzionali da questo garantito e ritagliato; tale modello veniva peraltro esteso ai<br />

componenti di un organo che, pur in assenza di un’esplicita previsione costituzionale,<br />

non avrebbero potuto non goderne, a pena di vedere alquanto limitato il libero esercizio<br />

delle loro fondamentali funzioni.<br />

Alla luce di questo precedente – in combinato disposto con la citata sent. n. 300 –<br />

acquista perciò un significato tutto particolare il discusso passaggio della pronuncia n.<br />

24/2004, secondo il quale l’«assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni<br />

che ineriscono» alle alte cariche costituisce «un interesse apprezzabile che può essere<br />

tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto» 7 . Legittimare<br />

(in astratto) interventi legislativi ordinari aventi questo scopo non significa infatti che<br />

(in concreto) ciò sia sempre possibile; l’obiettivo diventa invece praticabile allorché ri-<br />

6 Cfr. il punto 3 del Considerato in diritto (corsivo non testuale).<br />

7 Punto 4 del Considerato in diritto.

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