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volume - Camera dei Deputati

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278<br />

Francesco Trapella<br />

Questo, almeno, quanto traspare, expressis verbis, dalla relazione del Guardasigilli,<br />

introduttiva del Disegno di Legge AC 1442 del 2 luglio 2008, tradottosi, poi, in quel<br />

provvedimento meglio noto come lodo Alfano.<br />

4. Tiriamo le conclusioni.<br />

È nel tradimento dell’ideale impresso nelle norme costituzionali sul Pubblico Ministero<br />

che deve concepirsi l’illegittimità del lodo.<br />

Sotto un primo profilo, infatti, esso realizzerebbe un risultato diametralmente opposto<br />

a quello delineato nelle parole di Francesco Bettiol e di Giovanni Leone, che sottintendono<br />

l’esistenza di un nesso imprescindibile tra obbligatorietà dell’azione penale e<br />

Stato di diritto; nondimeno, se la necessità <strong>dei</strong> Padri Costituenti era quella di evitare la<br />

legittimazione del Pubblico Ministero all’esercizio di una discrezionalità invasiva<br />

dell’opera del Giudice, il lodo Alfano renderebbe inerte il Pubblico Ministero – oltre che<br />

il Giudice – di fronte all’esecutivo, di cui sarebbe, peraltro, costretto a subire le scelte.<br />

Sotto un secondo profilo, è opinabile la scelta di affermare la supremazia del principio<br />

di sereno svolgimento delle attività delle Alte Cariche su quello del corretto andamento<br />

del processo (tanto da imporre la sospensione di quest’ultimo). E questo, soprattutto,<br />

nel nome del nesso fiduciario che lega gli elettori agli eletti, sì che questi ultimi<br />

ricevono mandato dai primi e ai primi debbono rendere conto. Si potrebbe, anzi, per<br />

questa via, configurare un diritto <strong>dei</strong> cittadini a conoscere l’esito di processi che coinvolgono<br />

le Alte Cariche dello Stato; un diritto innanzitutto strumentale al mantenimento<br />

del nesso fiduciario di cui si diceva e a cui quello della serenità nell’espletamento dell’attività<br />

istituzionale sarebbe necessariamente subordinato, potendo l’interessato condurre<br />

serenamente la propria attività, solo a sentenza pronunciata. E questo, senza dubbio,<br />

a tutto vantaggio dell’interesse a portare a termine il processo nel più breve tempo<br />

possibile, anziché sospenderlo a tempo indeterminato.

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