volume - Camera dei Deputati
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Due riflessioni sulla quaestio della legge n. 124 del 2008<br />
bero senz’altro essere oggetto di autonomo esame, nel caso di impugnazione della disciplina<br />
successiva analoga ad altra già riconosciuta incostituzionale.<br />
A conclusione di questi rilievi, è forse il caso di aggiungerne un altro, suggerito dalle<br />
critiche che spesso vengono mosse dai commentatori ai giudici a quibus ed al modo in<br />
cui questi hanno impostato le questioni di costituzionalità (nel timore che esse “non colgano<br />
nel segno”, non consentendo di accertare un conflitto che, con una domanda meglio<br />
formulata, potrebbe emergere più agevolmente). Non sembra inopportuno rammentare<br />
a questo proposito che il giudizio di costituzionalità non costituisce un processo alle<br />
valutazioni <strong>dei</strong> giudici a quibus (volto cioè a compiere un controllo sulla ricognizione<br />
<strong>dei</strong> motivi di contrasto da questi effettuata) e che, diversamente, secondo la logica e la<br />
natura insite in tale giudizio, la Corte è chiamata, certo sempre nell’ambito definito dal<br />
thema decidendum, a individuare, per prima e direttamente, il vizio temuto. Insomma,<br />
secondo il passato, ma sempre valido, insegnamento, la Corte costituzionale non recita<br />
“a copione” ma “a soggetto” 5 , essendo vincolata al “chiesto” naturalmente dai parametri<br />
prospettati, nonché dai profili di contrasto, ma non anche dagli argomenti utilizzati<br />
dall’organo giudiziario (in questa prospettiva, per esempio, la lesione del disposto costituzionale,<br />
se c’è, va pronunciata, anche se esso per ipotesi fosse stato in qualche misura<br />
malinteso dal rimettente).<br />
2. Passando all’oggetto principale della presente riflessione, si intende concentrare<br />
l’attenzione su due profili di censura avanzati dagli organi rimettenti, prescelti non tanto<br />
perché ritenuti quelli rispetto ai quali più sicura o di agevole prova appaia la fondatezza<br />
delle questioni, ma per contribuire a dissolvere le “nebbie” da cui essi sono avvolti (nella<br />
convinzione che anche questo, anzi soprattutto questo − e non solo additare gli argomenti<br />
forti e inconfutabili − risponda al compito ed al ruolo propri di un amicus curiae).<br />
Essi sono:<br />
a) la lesione dell’art. 138 Cost. e, più specificamente, il problema se questa configuri<br />
un vizio autonomo e dunque immediatamente accertabile, al pari ed al fianco degli altri,<br />
o se piuttosto sia subordinata al previo riscontro delle altre ragioni di contrasto lamentate,<br />
di tipo prettamente sostanziale;<br />
b) la violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. e, nell’ambito di essa, in particolare,<br />
l’individuazione dell’esatto contenuto cui si è inteso fare riferimento con l’invocazione<br />
di tale fondamentale e vasto principio: l’eguaglianza come divieto di arbitrarie disparità<br />
di trattamento e, dunque, come ragionevolezza di una certa differenziazione ovvero, data<br />
nella specie la mancata indicazione di qualsivoglia termine di paragone, l’ulteriore<br />
aspetto di essa, consistente nella preclusione di ogni intrinseca irragionevolezza od assoluta<br />
arbitrarietà.<br />
Quanto al primo problema, si è giustamente notato 6 come l’appellarsi ad una invalidità<br />
attinente al procedimento ricordi la nota argomentazione di Kelsen per cui ogni<br />
contrasto nei contenuti sottenda un difetto formale (consistente appunto nell’omessa<br />
scelta del procedimento aggravato, grazie al quale si sarebbe potuto veicolare quello<br />
5 … ed «il suo è un giudizio pieno che non si riduce puramente ad un controllo sui buoni argomenti<br />
impiegati dal giudice a quo per decidere di prospettare la questione»: G. ZAGREBELSKY, La<br />
giustizia costituzionale, Padova, 1988, 209.<br />
6 Da parte di M. CECCHETTI, Appunti sulle questioni sottoposte alla Corte e sui possibili esiti <strong>dei</strong> giudizi<br />
di legittimità costituzionale del “lodo Alfano”, in questo <strong>volume</strong>.<br />
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