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ILLUSTRATE W - The University of Chicago Library

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LA CAMERA DEGLI ORRORI 129<br />

— Son qua !.. sì son qua . . . dove ho da essere ? . . Santo Dio ... la è una per­<br />

secuzione . . . non ho pace in nessun luogo. .. che vita di sagrifizio è ella mai code­<br />

sta ? . . io non ci posso durare ... mi fa male, mi rovina la salute ... è impossibile —<br />

così detto s'andò ad appostare presso al balcone : mise al davanzale il braccio, appog­<br />

giando la guancia alla mano ricurva. Pareva il pr<strong>of</strong>ilo della Ebe Canoviana, e la im­<br />

mobilità, frutto dell' interno rancore, aggiungeva a renderla una bellezza, sto per<br />

dire, statuaria.<br />

A quell' attitudine, a quel silenzio il vecchio incomincia a piangere di cheto, in<br />

silenzio anche lui, perchè di tanti rimproveri, preparati nell' attesa, non gli pareva di<br />

poterne esprimere neppur uno: sopraffatto dal dolore il quale, per quanto sé l'a­<br />

spettasse, gli riusciva sempre nuovo.<br />

— Via, guardi il papà — disse Giovanni, stomacato di quella condotta crudele.<br />

— Di cosa t'impicci, brutto rospo ? — rispose Febea.<br />

Il vecchio non frenò più un singulto.<br />

— Cosa e' è ? . . — irruppe allora la figlia. A cui il padre :<br />

— Mi bastava — cominciò con voce tremante ed oppressa: — mi bastava vederti<br />

prima di morire — Febea lo interruppe subito :<br />

— Oh ! per Diana !.. ci siamo co' piagnistei... mi pareva impossibile . . . sem­<br />

pre egli muore, ma è sempre là — e venne via dalla finestra : la sua stizza si era ac­<br />

cresciuta dall' aver visto a passare una persona, che noi non conosciamo ancora, ma<br />

nota al padre di Febea, come vi dirò poi. Quindi forse, per mitigare l'orrenda impres­<br />

sione d'un discorso, eh' ella stessa non intendeva fosse preso sul serio. — sempre mo­<br />

rire, sempre malinconie, sempre medicine... per questo mi fa rabbia venire a casa...<br />

sempre fantasticar coi mali... in vece di moversi, svagarsi un poco !<br />

— Oh ! santo Dio !.. — mormorò P infermo, alzando gii occhi al cielo. E<br />

Giovanni :<br />

— Vuol ella eh' ei vada a fare un balletto in teatro ? — A cui Febea :<br />

— E tu vuoi tacere, vecchio tentennino ? — poi al padre : — che mali son code­<br />

sti ? ... io vedo che i malati o muojono o si alzano ... sai com' è ? . . è che la mam­<br />

ma t' ha guastato, con troppe moine, ma tu male, quel che si dice male, non n' hai<br />

punto, punto.<br />

— Ah ! no ! tu non credi ?.. — mormorò il padre — non credere che te n' ac­<br />

corgerai più tardi... e Dio non voglia quando non ci sarà più tempo. — A cui<br />

Febea con impazienza, non esente da paura:<br />

— Di che cosa m'ho io ad accorgere in grazia? — Il padre lo prése per un<br />

sintomo di non lontana bonaccia.<br />

— Vien qua dal babbo. Hai visto Renzo ?.. or ora quand' eri al balcone ?<br />

— Taci! — disse voltando irritata, quegli occhi pieni di fascino, — non me lo<br />

nominare nemmeno.<br />

Il malato mandò allora un sospiro pr<strong>of</strong>ondo, come chi perde un' altra speranza ;<br />

la Febea riprese : — Già sai quando ci ho le lune per rovescio ... gli è inutile ... —<br />

e in così pr<strong>of</strong>erire apriva la bocca a un sorriso tanto ingenuo, per cui tutta la faccia<br />

se le rischiarò improvvisamente : con due pozzette ai lati delle guancie, con lo smal­<br />

to de' suoi denti, appena intravvisto, la bellezza della fanciulla prendeva un nuovo<br />

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