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ILLUSTRATE W - The University of Chicago Library

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LA CAMERA DEGLI ORRORI 135<br />

Quando la Febea canta quella povera stanza o meglio, s<strong>of</strong>fitta, diventa un eliso.<br />

Il merlo smette dal cantar lui per ascoltarla. Il vecchio servitore brontolone, suo malgrado,<br />

si ferma dalle usate occupazioni. La Melania stessa mormora ordinariamente —<br />

cette petite a des despositions pour le théatre. — Il padre sente il concerto degli angeli.<br />

Adesso Febea, toccando con piglio disinvolto le corde, prelude alla nota canzone :<br />

« Giulia gentil ecc.<br />

Non apre molto la bocca, ma solleva con grazia il labbro : e il bel rosso e la soave<br />

peluria bruna agli angoli, danno risalto ai denti su cui brillano lumi di perla.<br />

Popolare essendo quell' aria, Febea la rende, a bello studio, più graziosa con fioriture<br />

di fantasia; laonde al finir della str<strong>of</strong>a la sua bella voce sonante, passa agile dai<br />

toni acuti ai gravi, leggiadrissima , poiché fa con questi più soavi i primi, dai quali<br />

traspira la nativa grazia femminile ; termina con un gorgheggiare, di cui la molle<br />

cadenza scende misteriosa al core.<br />

Forse sperava ammansare il povero malato, e mai la sua bellezza non appariva,<br />

come in quel momento, fascinatrice e proterva.<br />

Ma non le riuscì : il vecchio per poco non potè resistere al noto incanto, ed avea<br />

prestato attenzione, ma poi stanco del male, avvertito dell' insidia, occupato in voler<br />

là in quella notte estrema sua figlia, fé' un moto perchè smettesse. Tolto già alle emozioni<br />

della vita, le respingeva : egli sentiva Dio chiamarlo.<br />

— Ma ! — brontolò Giovanni — e' è proprio voglia di canti.<br />

— Faccio male anche a suonare ... oh !.. eh' io n' ho d'avanzo di questa casa<br />

! — vociferò la ragazza slanciando la chitarra, che mandò un suono mezzo flebile,<br />

mezzo d'ira, come di corde infrante.<br />

— La termini quelle fodrette, piuttosto — replicò il servo — bisogna cambiarla<br />

quella che ci ha il padrone sul cuscino... è sudicia... e se viene il prete... —<br />

E Febea — Non ci son questi bisogni. Lavorerò la gualdrappiha della mia Lillì<br />

posto che ho dovuto mandarla via, privarmi anche di quella! —<br />

Lillì era una cagnuolina, di cui il ritratto a semplice, ma elegante contorno, stava<br />

appeso in un' analoga cornice al muro. Allontanatale dal servitore, per riguardo al<br />

malato, Febea si riservava la compiacenza di condurre pel Corso la sua bestiuola a<br />

mano, tenuta con un bel cordone rosso, coprendola d'una gualdrappa dove già le<br />

sue mani agilissime aveano trapunti i più graziosi ricami.<br />

Succede un silenzio, nessuno alitava, tutti dietro ai loro pensieri.<br />

— E da pranzo cosa e' è? ... — domandò Febea, in apparenza tranquilla.<br />

— Da pranzo ? niente, la deve saperlo meglio di me... un po' di minestra<br />

eli là in cucina è rimasta da jeri, eh' io oggi non ho avuto tempo... fin che bado a far<br />

P infermiere come posso attendere alla cucina ?.. le barbabietole son mie — concluse<br />

mettendo la mano davanti al piatto, e con un gesto di tenerezza e di protezione, che<br />

non permetteva nessun accampasse diritti sulla sua pietanza — e poi già son poche —<br />

aggiunse fra sé — e non son da malati.<br />

— Giovanni — disse l'infermo e tu vai a prendere qualche cosa all'osteria ... va<br />

dal pasticciere, prendi una cosa qualunque, di quelle che le piaciono . . . se non ci hai<br />

denari e tu porta il mio soprabito in pegno . . . già a me non me n' occorrono più<br />

vesti di quella specie ... e poi chiamami un religioso : sai quel buon prete eh' è

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