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ILLUSTRATE W - The University of Chicago Library

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LA CAMERA DEGLI ORRORI 131<br />

tuo padre... e guarela cosa ti dico ... io qua in questo letto di miseria, tu co' tuoi<br />

compagni d'allegria. . . ancora non mi cambierei con te.<br />

Breve silenzio, dopo il quale:<br />

— Sicuro ! — esclamò Febea — io sono infelice ... e chi. . . chi m' ha ridotta<br />

così rabbiosa ... a un tal segno che mi darei la morte colle mie mani ? . .<br />

— Chi ?.. — disse con uno stupor doloroso P infermo :<br />

— Non hai bisogno di domandarlo.<br />

— E perchè?<br />

— Oh ! quante chiacchiere . . . per tenermi qua ... ti consiglio a risparmiare il<br />

fiato, s' è vero che poco te ne resti.<br />

grime.<br />

Tanta crudeltà sconvolse il vecchio, il quale non potè trattenere amarissime la­<br />

— Ingrata ! — ricominciò esso, pronunziando con voce rotta, fessa le parole, e<br />

accompagnandole con lagrime che sprizzavano lente, lente dall' occhio, e scendevano<br />

giù per le guancie con misura solenne. — Hai ragione a parlarmi a questo modo, sì<br />

hai ragione.<br />

— Mah ! troppo contentata — mormorò Giovanni — i cagnolini delle signore,<br />

quelli a cui si fan tante carezze, son più soggetti alla rabbia, assai più dei cani che<br />

van per la strada.<br />

— E vero ! Dio mi castiga — disse Maurizio.<br />

— Giusto appunto così... e mi rendesti infelicissima — esclamò Febea prendendo<br />

un tuono leggero, forse perchè non si voleva commovere... cosa a cui si sentiva suo<br />

malgrado disposta, tanto è vero che la non si sapeva risolvere a partire — han fatto<br />

male a contentarmi : un' altra volta, se t' accadrà questa brutta disgrazia di met­<br />

termi al mondo, mi educherai meglio . .. per questa non e' è più caso.<br />

— Ingrata ! — fuori di sé per tanta ironia, la interruppe il padre — un' altra<br />

volta, tu dici? .. s<strong>of</strong>focarti colle mie proprie mani piuttosto . . . s<strong>of</strong>focarti, serpente,<br />

eh' io mi scaldai da mia posta nel seno !<br />

— Ih! che furori! — esclamò Febea— cos' ho fatto in fin dei conti, cos' ho fat­<br />

to ? .. perchè queste filippiche ? e . la è bella, mi vuol qua per istrapazzarmi. . . quali<br />

sono i miei delitti ? .. son giovane, voglio andar fuori. .. ecco tutto .. . non m' hai<br />

detto le mille volte che i giovani van compatiti... quando mi si voleva castigare, non<br />

predicavi sempre che la gioventù ha diritto di cercar la vita dov' essa la chiama, che<br />

i vecchi non si ricordano mai di quello che furono essi ai loro anni, che bisogna volerci<br />

bene come ad amici, a figlioli e non esiger nulla. . . ora ti trovi in contraddizione :<br />

sei un vecchio come gii altri, eppure le tue maccatelle, quando i sessanta non ti pesa­<br />

vano sul dosso, le tenevi in serbo anche tu : me n'hai da aver contata qualcheduna...<br />

uno stinco di santo non fosti. Lasciami vivere alla mia volta. Son giovane, ho bisogno<br />

d' amore, di piacere, d' andare dove il core mi chiama. Cioè a dire . . . qua no ... in<br />

questa fetida camera, in mezzo a queste malinconie. Fin che potevi venire anche tu<br />

fuori con me e pavoneggiarti d'avere una figlia a cui la gente dicesse — veh ! com' è<br />

bella, com' è cara, e questo e quest' altro ! — allora si girava un bel po' pel Corso,<br />

adesso perchè ti da' ne>ja startene solo, adesso mi vieni fuori coi castighi di Dio e si­<br />

mili nenie. Io ti rispondo in vece: son la stessa: ho la stessa ansietà di spassi, la

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