A più voci - Magellano
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Prima di affrontare apertamente il tema che ci sembrava <strong>più</strong> spinoso, abbiamo cercato di entrare in risonanza con<br />
i problemi di ogni categoria. Ed è venuto fuori che a tutte tre le categorie (agricoltori, allevatori, cacciatori) pesava<br />
l’ottica urbanocentrica con cui si era guardato fino ad allora al territorio aperto, con uno sguardo <strong>più</strong> da cittadini<br />
che vanno a trascorrerci un fine settimana che non con il dovuto rispetto per le persone che di quel territorio<br />
vivono, faticando e producendo anche per strapparlo al bosco. Ciò che <strong>più</strong> infastidiva i partecipanti ai focus group<br />
(in particolare allevatori e agricoltori) era l’ottica con cui vengono emanate normative che puntano a salvaguardare<br />
il paesaggio e non mettono in conto che i capanni temporanei, le stalle o le recinzioni sono strumenti indispensabili,<br />
soprattutto per chi si ingegna e si impegna per sottrarre i terreni all’avida ingordigia del bosco.<br />
L’uso di termini così evocativi e appassionati è servita da campanello d’allarme. Abbiamo quindi voluto verificare<br />
il tema del bosco divoratore e degli ambiti di caccia commissionando tre studi non previsti in origine: un censimento<br />
degli areali degli animali selvatici, delle zone di ripopolamento e cattura, delle zone vincolate a parco, un<br />
esame delle strade vicinali e delle forme di gestione associata che sono nate spontaneamente di recente per mantenerle,<br />
ma anche la costruzione di una matrice delle trasformazioni degli usi del suolo tra il 1950 e oggi, che ha<br />
provato come il perimetro del bosco sia mutato nel tempo mangiandosi coltivi e pascoli.<br />
Un falso conflitto?<br />
I nuovi studi hanno messo a nudo che il conflitto era in una sola direzione; nell’esporli – infatti – nei gruppi di<br />
cacciatori vi era gratitudine e interesse, e nessuna traccia di critica per i produttori, ma anzi esibita ammirazione<br />
per chi – valorizzando il territorio aperto attraverso la produzione – si poneva anche come custode di paesaggio.<br />
Ciò ci ha dato la crescente certezza di trovarci di fronte ad un “falso conflitto”, forse originato da timori generici<br />
di nuove restrizioni che potessero giungere da un piano che non valorizzasse abbastanza gli sforzi di chi mantiene<br />
ad usi produttivi un territorio non sempre facile.<br />
Come consulenti del Piano, abbiamo allora chiesto ad agricoltori e allevatori di dettagliarci le loro necessità sulla<br />
protezione di animali e coltivazioni dai danni portati dalla selvaggina. Ciò ha determinato una repentina apertura<br />
della collaborazione, che ha reso possibile formulare esplicitamente la domanda che ci premeva: ovvero un giudizio<br />
sulle pratiche locali di caccia e i problemi da esse causati. Le risposte hanno ridimensionato notevolmente il<br />
conflitto, fino al punto di far emergere che in certi casi gli agricoltori addirittura lamentano le poche o infruttuose<br />
battute di caccia al cinghiale da parte dei cacciatori, che non mettono abbastanza al sicuro le loro colture dalla<br />
selvaggina. E sono emersi giudizi positivi sulle modalità che i tre principali gruppi di cacciatori di Dicomano<br />
adottano per spartirsi i territori da battere, estraendoli a sorte volta per volta. Questa tradizione può addirittura<br />
considerarsi alla base dei pochissimi incendi che negli ultimi anni hanno colpito Dicomano in rapporto a vari<br />
comuni limitrofi, perché attenua la competizione scorretta incentivando la cooperazione reciproca.<br />
Pertanto, il conflitto è stato dichiarato non sussistente, qualora in futuro si mantengano relazioni di rispetto reciproco<br />
tra chi usa e vive in modo differente parti diverse di uno stesso territorio aperto.<br />
Soluzioni innovative<br />
Prima di tutto abbiamo potuto stemperare un conflitto scoprendone la scarsa consistenza. In secondo luogo, è<br />
stato possibile trarre delle idee che hanno sostanziato il nuovo Piano.<br />
Da questa nuova coscienza è venuto – ad esempio – il suggerimento di premiare i recuperi di alcuni terrazzamenti<br />
in area oggi boschiva, derogando ad alcuni dei vincoli di restauro filologico normalmente legati agli antichi<br />
manufatti in zona agricola. Inoltre si è pensata l’articolazione del territorio aperto in tre tipi di zone agricole a<br />
vincolo paesaggistico descrescente, prevedendo la possibilità di costruire capanni non stabili ad autorizzazione pluriennale.<br />
È è venuta anche l’idea di proporre premi per chi opera sul territorio con gestione associata: ad esempio<br />
raddoppiando i tempi di validità delle loro autorizzazioni per i manufatti temporanei. Anche la sottolineatura di<br />
molti abitanti che “sono scomparse le competenze per costruire o restaurare muretti a secco e sistemazioni agrarie<br />
tradizionali” ha dato corpo all’idea di pensare con i comuni vicini ad una possibile scuola di formazione con spe-<br />
COME. APPROCCI E TECNICHE PER LA GESTIONE DEI CONFLITTI 107