A più voci - Magellano
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Che risultati abbiamo ottenuto<br />
Non appena abbiamo iniziato a fare le interviste su base di storia di vita, il clima è immediatamente cambiato. Di<br />
Martino non ha avuto difficoltà a presentarci le prime persone da intervistare, e poi ognuna di queste persone ci<br />
introduceva ad altre, perché questo nuovo approccio sottolineava il protagonismo e il senso di appartenenza.<br />
Ci raccontavamo queste storie di vita che ci aprivano degli orizzonti. Mettevamo progressivamente insieme i racconti<br />
delle interviste e i risultati delle indagini tecniche e urbanistiche, e mettevamo a fuoco dei collegamenti.<br />
Non ci chiedevamo <strong>più</strong> il perché della diffidenza nei rapporti di vicinato, perché, per esempio, se nell’alloggio<br />
vicino c’è un malato di mente che collega la stufa al gas della cucina, è abbastanza logico che il suo dirimpettaio<br />
abbia il timore che la casa gli scoppi in testa e al tempo stesso vede che nessuno se ne occupa, per cui è irritato e<br />
insicuro. Non vedevamo <strong>più</strong> i problemi in astratto, ma ci facevamo una ragione di tante cose che all’inizio ci sembravano<br />
assurde.<br />
È proprio grazie a questa ricerca continua di connessioni, fra problemi e problemi e fra questi e possibili soluzioni,<br />
che abbiamo pian piano, dopo alcuni momenti di simulazione progettuale, costruito un programma integrato.<br />
Un esempio è l’automanutenzione. I disoccupati che rimettono a posto le case in cui abitano. È una idea venuta<br />
fuori da via Arquata che ora, dopo una serie incredibile di vicissitudini, è diventata realtà (si tratta delle clausole di<br />
inserimento sociale).Un’altra idea era quella dei custodi di quartiere, un termine generale per indicare che sono<br />
necessarie figure di mediazione sociale sul territorio, capaci di farsi garanti del rispetto di certe regole di convivenza.<br />
Anche questo si è in parte realizzato, con le figure degli accompagnatori sociali.<br />
Testimonianza di Iolanda Romano<br />
5. Paragrafo a cura di P.<br />
Riccone.<br />
68 A PIÙ VOCI<br />
Animazione territoriale 5<br />
Un’approccio molto simile all’outreach, è l’animazione territoriale, che<br />
viene usata soprattutto nei progetti di sviluppo locale concertati (patti<br />
territoriali, progetti integrati territoriali, ecc.). Con il termine animazione<br />
territoriale (o animazione sociale) si intende comunemente tutto<br />
ciò che va ad incrementare il grado di sensibilizzazione e di partecipazione<br />
degli attori locali intorno a problemi comuni e strategie che<br />
interessano l’area di appartenenza. È altresì una modalità per giungere<br />
ad un buon grado di lettura e analisi del contesto locale secondo una<br />
logica di tipo bottom up. L’attività di animazione ne incorpora infatti<br />
una <strong>più</strong> tipicamente conoscitiva, ossia di indagine territoriale, altrimenti<br />
detta di ricerca-azione (vedi paragrafo successivo), finalizzata ad<br />
acquisire in modo sistematico informazioni quantitative e qualitative<br />
relative agli elementi di forza del territorio (su cui puntare ed investire)<br />
ed agli elementi di debolezza dello stesso (a cui far fronte mediante<br />
progetti di sviluppo locale). Secondo questa prospettiva, lo sviluppo<br />
socioeconomico passa attraverso un approccio progettato e gestito in<br />
prima persona da attori pubblici e privati di un dato contesto (enti<br />
locali, rappresentanze degli interessi, autonomie funzionali, terzo settore,<br />
ecc.) lungo quattro fasi fondamentali:<br />
1. la dinamizzazione e la sensibilizzazione dell’area territoriale;<br />
2. l’acquisizione e la socializzazione di informazioni ed esperienze;<br />
3. l’incremento della cooperazione tra gli attori;<br />
4. l’elaborazione condivisa di progetti di sviluppo territoriale.