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A più voci - Magellano

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abitanti non sapevano nulla del progetto, il comitato inquilini non era evidentemente rappresentativo quando ha<br />

firmato il Contratto di Quartiere”.<br />

Riunione dopo riunione, tutte queste questioni diventano materiale vivo su cui lavorare. Io, per quanto allenato<br />

alla gestione di gruppi, forse per un innato istinto non violento e per un preteso desiderio di civiltà nello svolgimento<br />

di riunioni, entro in crisi: “qui tutti hanno <strong>voci</strong> possenti e urlano come forsennati, sembra valere la regola<br />

che il <strong>più</strong> forte è chi urla di <strong>più</strong>”. È giusto? È possibile? Come posso gestire creativamente il conflitto? Dopo qualche<br />

riunione, rinuncio al controllo e decido di iniziare ad urlare anche io, con tutto il fiato che ho in gola. Ricevo<br />

il benestare, l’approvazione di alcuni amici e colleghi con i quali mi consulto in quei giorni: l’arte di ascoltare è<br />

un’arte gentile” ma ferma e attiva e nel mio caso richiede una provvisoria revisione della mia natura non-violenta.<br />

Se si fa ascolto attivo è inevitabile che vengano messe in discussione le proprie abitudini, consuetudini, finanche il<br />

proprio stile ed è questa una condizione fondamentale per essere a propria volta apprezzati.Così, ho capito che<br />

solo urlando avrei potuto comunicare che ero un interlocutore attendibile, che proprio una componente non verbale<br />

(il volume!) poteva essere decisiva.<br />

Per noi urlare significava “impossibilità di ascolto reciproco, aggressione, sconfitta, inciviltà”,per loro significava<br />

“metterci alla prova, verificare la nostra reale disponibilità a prenderci cura del quartiere e, ancora, a... giocare sul<br />

serio con loro!”. Per fortuna, avevamo a disposizione 15 riunioni e, dopo una serie di tentativi per prova ed errore<br />

siamo riusciti a uscire dalla nostra cornice, a capire come comportarci in quell’ambiente culturale e a rendere <strong>più</strong><br />

efficace la comunicazione!. Un quartiere degradato manda in continuazione ai suoi abitanti il messaggio: “Tu<br />

non, sei degno di riconoscimento e rispetto”, “Tu non esisti, non servi a nulla”. Certamente è stato fondamentale<br />

riconoscere i segni contraddittori attraverso i quali alcuni abitanti, via via, dimostravano di darci un minimo di<br />

credito: alcuni al termine della riunione, ci salutano con una stretta di mano. Ricordo ancora un uomo, che il<br />

giorno precedente era entrato a incontro terminato e aveva protestato con violenza e il giorno successivo ha<br />

seguito l’incontro e, uscendo, si è complimentato del nostro lavoro attraverso un’altra inquilina, dicendo di aver<br />

fatto una brutta figura il giorno prima.<br />

Tratto da Massimo Bricocoli, “Uno sporco lavoro di quartiere. Il Contratto di Quartiere a Cinisello Balsamo”,<br />

in Animazione Sociale, n. 3, marzo 2002.<br />

3. Il presente paragrafo è<br />

parzialmente tratto da M.<br />

Sclavi, Avventure urbane,<br />

Milano, Eléuthera, 2002,<br />

pp. 225-229. Vedi anche:<br />

http://www.avventuraurbana.it/strumenti/outreach.shtm.<br />

4. N. Wates, Community<br />

Planning Handbook,<br />

Londra, Earthscan, 2000.<br />

L’outreach 3<br />

66 A PIÙ VOCI<br />

Gli operatori sociali sanno benissimo che le persone con i problemi<br />

<strong>più</strong> gravi difficilmente si presentano spontaneamente presso di loro<br />

per ricevere i servizi di cui avrebbero un grandissimo bisogno; occorre<br />

andarle a cercare. Questa pratica dell’andare a cercare è stata chiamata<br />

outreach (letteralmente: raggiungere fuori). Lo stesso termine è impiegato<br />

nella progettazione partecipata e può essere definita come andare<br />

a consultare le persone piuttosto che aspettare che esse vengano da noi 4 .<br />

Le amministrazioni sono tradizionalmente abituate ad aspettare che<br />

gli utenti arrivino da loro, presentando domande, istanze, dichiarazioni,<br />

certificati. Qui bisogna procedere nel modo opposto: non è <strong>più</strong> il<br />

cittadino che si muove verso lo sportello, ma è lo sportello (l’istituzione)<br />

che si muove verso il cittadino. Le amministrazioni non possono<br />

conoscere veramente quali sono i problemi e chi sono i loro possibili<br />

interlocutori finché non riescono a scovarli sul territorio.<br />

Gli strumenti e le modalità dell’outreach sono assai varie. Per<br />

esempio (ma se ne possono immaginare o inventare altre):

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