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A più voci - Magellano

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prima vista nessuno era in grado di scorgere. In questo senso, “il conflitto<br />

non è una patologia, ma un segno di salute: se non temuto e<br />

sofferto come complicazione, ma riconosciuto come manifestazione<br />

sorgiva di problematiche che la politica può affrontare, diventa occasione<br />

di conoscenza e occasione obbligata di governo, di fronteggiamento<br />

dialettico”, come afferma Silvano Bassetti nell’intervista riportata<br />

nella scheda 1.<br />

La seconda condizione (essere abbastanza forti) è obiettivamente<br />

difficile da valutare e dipende anche dalla propensione soggettiva di<br />

ciascun amministratore: c’è chi ama gettarsi nella mischia, anche a<br />

costo di correre qualche rischio, e c’è chi preferisce tenere un atteggiamento<br />

<strong>più</strong> prudente. Ma, in ogni caso, gli errori di valutazione sono<br />

sempre in agguato. Talvolta i conflitti sono espliciti e aperti e allora la<br />

situazione è <strong>più</strong> facile da riconoscere: gli interlocutori sono già emersi<br />

ed è possibile valutarne l’influenza. Talvolta, però, i conflitti sono solo<br />

potenziali. Si può supporre che una certa decisione possa generare<br />

reazioni negative, ma non si sa esattamente chi reagirà, quando e con<br />

quale forza. Un caso assolutamente tipico è costituito dai veti opposti<br />

dalle comunità locali a progetti di interesse generale. Poiché tali situazioni<br />

sono comunissime e costituiscono una vera e propria ossessione<br />

per gli amministratori locali, conviene esaminarle <strong>più</strong> da vicino.<br />

Scheda 1 Quando esistono conflitti: una riflessione da Bolzano<br />

INTERVISTA A SILVANO BASSETTI, ASSESSORE ALL’URBANISTICA DEL COMUNE DI BOLZANO<br />

Qual era il tuo problema iniziale?<br />

Il mio problema era di vivere drammaticamente il disagio relativo alla crisi del rapporto fra Pubblica<br />

Amministrazione e cittadini, anzi di osservare una quasi totale assenza della politica nella città, che in generale<br />

riconduco alla crisi generale della politica.<br />

Oggi è sparita completamente la politica come pratica di inchiesta, come attività volta alla responsabilizzazione<br />

diffusa a scala di quartiere; sono sparite tutte le agenzie nobili di mediazione, i luoghi che erano deputati ad esprimere<br />

interessi e a misurare conflitti, attraverso un processo di selezione verso l’alto che consentiva ai problemi di<br />

entrare nel panorama della politica in modo già distillato.<br />

L’altro aspetto che avevo rilevato è la capacità sempre <strong>più</strong> diffusa dei cittadini di appropriarsi di tecniche di difesa<br />

dei propri interessi: ormai hanno imparato come si mette in piedi un comitato, come si organizza la raccolta di<br />

200 firme, come si fa ad ottenere uno spazio sui giornali.<br />

Il combinato disposto di questi due elementi sviluppa una condizione esplosiva, perché scatena e rende espliciti i<br />

conflitti ma li priva di qualsiasi declinazione di civicità: i problemi si manifestano allo stato grezzo, esprimono<br />

delle esigenze materiali che magari sono anche legittime, ma che sono relative ad interessi privatistici e difficilmente<br />

confrontabili con altre.<br />

In questo modo non c’è <strong>più</strong> spazio per la mediazione: il conflitto non è governabile, perché mancano le condizioni<br />

minime per condurre processi di mediazione virtuosa, che ricerchino una trasformazione degli interessi nella<br />

direzione di una responsabilità collettiva e una dimensione pubblica dei problemi.<br />

IN QUALI CIRCOSTANZE 17

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