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Scheda 8 Un dirigente comunale che ha provato il Laboratorio di quartiere<br />

INTERVISTA A CHIARA BRAMANTI, DIRIGENTE LAVORI PUBBLICI DEL COMUNE DELLA SPEZIA<br />

Com’è nata l’occasione di attivare un Laboratorio di quartiere?<br />

È nata quando, nel 2001, l’assessore alla Qualificazione urbana Sergio Olivieri decide di avviare un percorso di<br />

partecipazione dei cittadini legato al concorso di progettazione per la riqualificazione di Piazza Brin.<br />

L’obiettivo era di individuare linee guida condivise che servissero ai concorrenti come base sulla quale orientare<br />

la progettazione.<br />

Serviva quindi uno strumento di partecipazione che, con un numero limitato di incontri ben organizzati, facilitasse<br />

l’incontro dei progettisti con gli abitanti, e degli abitanti tra loro. Essendo legato al bando, le date degli<br />

incontri dovevano essere prestabilite, ma lo strumento di partecipazione doveva essere adatto a consentire la partecipazione<br />

di un numero imprecisato di persone: tutti i progettisti che si sarebbero iscritti e tutti i cittadini che<br />

desideravano partecipare.<br />

Un laboratorio di quartiere è sembrato subito lo strumento <strong>più</strong> adatto, anche perché l’Amministrazione poteva<br />

disporre di ampi locali, presso un’ex scuola dismessa, e di consulenti specifici da poter utilizzare come facilitatori.<br />

Si è rivelata una scelta giusta?<br />

Senz’altro; il laboratorio di quartiere si è rivelato adatto sia per gestire gli incontri ai quali hanno partecipato i<br />

progettisti (molto numerosi, dal momento che al concorso si erano iscritti 26 gruppi), sia per favorire la riflessione<br />

dei cittadini sugli usi della piazza e, <strong>più</strong> in generale, sulla qualità della vita nel quartiere. È stato inoltre<br />

utilizzato con successo per organizzare il percorso di valutazione, da parte dei cittadini, delle diverse proposte<br />

presentate.<br />

Quali sono, secondo lei, i punti di forza e le possibili debolezze di un laboratorio di quartiere?<br />

Come punti di forza metterei: la capacità d’innescare un processo di crescita, sia nei cittadini sia negli amministratori<br />

e nei tecnici coinvolti un processo; la caratteristica di entrare nel vivo dei problemi di un quartiere, correggendo<br />

la tendenza all’autorefenzialità o alla predominanza dell’estetica che a volte hanno i progettisti; la capacità<br />

di mettere in moto processi d’appartenenza, capaci di creare legami affettivi tra il progetto e gli abitanti.<br />

Come punti deboli evidenzierei il fatto che, richiedendo un impegno costante, non è molto adatto a chi ha pesanti<br />

impegni familiari o lavorativi, come ad esempio i cittadini immigrati, i quali, nel caso specifico, avrebbero forse<br />

potuto arricchire il progetto di riqualificazione con ulteriori punti di vista. Un’altra osservazione può essere che<br />

cittadini si sono sentiti molto responsabilizzati, e forse hanno assunto posizioni anche troppo auto-mediatorie,<br />

che hanno un po’ penalizzato la creatività e l’innovazione.<br />

94 A PIÙ VOCI<br />

Intervista a cura di Chiara Pignaris

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