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Atti dei seminari di studi desanctisiani - Morreseemigrato.Ch

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letteratura s’immerge nel presente stesso, il <strong>di</strong>alogo con l’autore del passato coincide<br />

<strong>di</strong>rettamente con la presenza del critico nel presente, <strong>di</strong> fronte ad un evento presente<br />

così determinante e così fortemente positivo. La presenza <strong>di</strong> Machiavelli costituisce<br />

per De Sanctis il dato più essenziale e positivo nel percorso della scoperta<br />

rinascimentale del mondo terreno, nell’abbandono del dominio della trascendenza.<br />

Questo abbandono della trascendenza ha peraltro come contrappeso la per<strong>di</strong>ta della<br />

tensione morale, la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> quel cinismo nel comportamento che viene analizzato<br />

al suo livello estremo in un altro capitolo bellissimo, quello su Pietro Aretino,<br />

innalzato a simbolo <strong>di</strong> quella corruttela rinascimentale dove ogni espressione della vita<br />

è ridotta all’in<strong>di</strong>fferenza, al cinismo, al riso, fino alla battuta finale del capitolo in cui<br />

si ricorda la “tra<strong>di</strong>zione popolare molto espressiva” secondo cui “Pietro morì <strong>di</strong><br />

soverchio ridere, come morì Margutte, e come moriva l’Italia”. Questo finale ad<br />

effetto del capitolo sull’Aretino, in questo trionfo del comico legato alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

tensione morale, trova però come contrappeso la prospettiva fortemente positiva data<br />

dalla scoperta della <strong>di</strong>mensione scientifica, dalla concreta verifica <strong>di</strong> un mondo<br />

“umano”, terreno, mondano, attuata da una messa in opera dell’intelletto e da una<br />

affermazione nella <strong>di</strong>mensione “effettuale” della realtà. Per questo Machiavelli è così<br />

centrale e determinante, proprio perché da lui parte, nell’ottica <strong>di</strong> De Sanctis, quella<br />

che sarà la prospettiva della nuova scienza, la conquista proprio della realtà, non<br />

soltanto come modo <strong>di</strong> essere, piacere <strong>di</strong> essere nel mondo terreno, ma come<br />

comprensione e stu<strong>di</strong>o della necessità della realtà: Machiavelli anche nei suoi caratteri<br />

più “machiavellici”, nel suo senso della dura necessità dell’essere nel mondo.<br />

I passi del capitolo machiavelliano, a cui ha fatto riferimento Palumbo, sono<br />

legati ad altri dove si sottolinea proprio come in Machiavelli ci sia proprio la<br />

fondazione <strong>di</strong> un atteggiamento scientifico, con la scoperta della “serietà della vita<br />

terrestre, col suo istrumento, il lavoro, col suo obbiettivo, la patria, col suo principio,<br />

l’eguaglianza e la libertà, col suo vincolo morale, la nazione, col suo fattore, lo spirito<br />

o il pensiero umano immutabile e immortale”. Vedete come qui De Sanctis<br />

sovrappone a Machiavelli la sua visione idealistica e democratico - liberale:<br />

dall’energia, dalla tensione <strong>di</strong> Machiavelli (nonostante nel suo tempo egli non sia altro<br />

che uno sconfitto) si affaccia quello che sarà per De Sanctis il movimento più<br />

autentico verso la modernità. E Machiavelli è anche scrittura, è energia <strong>di</strong> una prosa,<br />

<strong>di</strong> cui De Sanctis mette in luce con un acume eccezionale il suo legame con le cose:<br />

“Fra tanto infuriare <strong>di</strong> prose rettoriche e poetiche comparve la prosa del Machiavelli,<br />

presentimento della prosa moderna”; poi poco più avanti: “Cerca la cosa, non il suo<br />

colore: pure la cosa vien fuori insieme con le impressioni fatte nel suo cervello”. Ma,<br />

anche perché il tempo fugge rapidamente, non stiamo a fare tante citazioni, anche se<br />

non posso trascurare questo passo bellissimo, a proposito <strong>di</strong> un passo delle Istorie<br />

fiorentine: “Parlando <strong>dei</strong> mutamenti introdotti al me<strong>di</strong>o evo nei nomi delle cose e<br />

degli uomini (Machiavelli) finisce così: “e i Cesari e i Pompei i Pietri e i Mattei e<br />

Giovanni <strong>di</strong>ventarono”. Qui non ci è che il marmo, la cosa ignuda; ma quante vene in<br />

questo marmo!”. Ma l’analisi si prolunga in un più corposo rilievo: “Ci senti tutte le<br />

impressioni fatte da queU’immagine nel suo cervello, l’ammirazione per quei Cesari e<br />

Pompei, il <strong>di</strong>sprezzo per quei Pietri e Mattei [mi scuserà appunto Matteo Palumbo], lo<br />

sdegno <strong>di</strong> quel mutamento: e lo ve<strong>di</strong> alla scelta caratteristica <strong>dei</strong> nomi, al loro

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