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Atti dei seminari di studi desanctisiani - Morreseemigrato.Ch

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costruisce una storia della letteratura, e la storia della letteratura fa tutt’uno con la<br />

storia dell’ethos, della fibra morale del popolo italiano. La saldatura è possibile, anzi<br />

necessaria, perché la letteratura riflette, non imme<strong>di</strong>atamente, ma attraverso<br />

l’elaborazione fantastica, la vita spirituale dello scrittore, i suoi sentimenti, la sua<br />

coscienza morale. “De Sanctis sapeva bene”, ci ricorda Valitutti (p. 51), “che essa (la<br />

poesia) è opera della fantasia, ma sapeva anche che in essa si rispecchia la generale<br />

vita spirituale del poeta, e varia con il variare <strong>di</strong> questa vita. Perciò egli ricercò sempre<br />

l’arte nell’unità dello spirito e della storia”. Va aggiunto che De Sanctis non stacca lo<br />

scrittore dal- l’ethos della sua epoca, anche quando il rapporto è <strong>di</strong> contrasto e <strong>di</strong><br />

conflitto. Diceva il mio maestro Luigi Russo che la poesia è un fiore che attinge il<br />

cielo, ma ha le sue ra<strong>di</strong>ci nella terra.<br />

Per passare al concetto <strong>di</strong> riforma intellettuale e morale bisogna tener conto<br />

dell’interpretazione che De Sanctis dà della storia morale e civile dell’Italia. E, come<br />

si sa, un’interpretazione pessimistica, <strong>di</strong>scussa e <strong>di</strong>scutibile, il cui nodo più importante<br />

è l’interpretazione del Rinascimento. Nell’età moderna l’Italia, invece <strong>di</strong> arrivare,<br />

come altri paesi dell’Europa, ad una riforma religiosa, aveva iniziato un processo <strong>di</strong><br />

decadenza religiosa; invece <strong>di</strong> costituirsi, come auspicava Machiavelli, in un grande<br />

Stato, era caduta sotto il dominio straniero. I vizi che avevano caratterizzato la<br />

decadenza dell'Italia, erano per De Sanctis il guicciar<strong>di</strong>nismo, l’assenteismo civico,<br />

l’accademismo. Egli aveva piena coscienza che il Risorgimento era opera <strong>di</strong> un’élite<br />

ristretta <strong>di</strong> intellettuali e politici, che il popolo italiano, anche se unito in un solo Stato,<br />

non si era affatto liberato da quei vizi, che l’uomo del Guicciar<strong>di</strong>ni era sempre il tipo<br />

d’italiano più comune a tutti i livelli sociali. Questa interpretazione della storia d’Italia<br />

fa tutt’uno col bisogno della riforma intellettuale e morale che liberi la società italiana<br />

da questi vizi e nella formazione <strong>di</strong> una nuova coscienza unifichi realmente il paese;<br />

senza quella riforma l’unità politica resterà un guscio vuoto. Valitutti, senza forzature,<br />

riconduce a questo concetto centrale della riforma tutta l’attività politica <strong>di</strong> De Sanctis,<br />

in particolare quella da lui svolta come ministro: per es., anche l’introduzione<br />

dell’educazione fisica nelle scuole, su cui vi sono in questo libro ottime pagine, prende<br />

il suo senso pieno nel tipo nuovo <strong>di</strong> uomo che si vuole creare attraverso la riforma, un<br />

uomo in contatto equilibrato e sano con la realtà, a cominciare da quello del suo corpo:<br />

la proposta si capisce bene nella polemica antiromantica e antiintellettualistica <strong>di</strong> De<br />

Sanctis. Il concetto desanctisiano <strong>di</strong> riforma intellettuale e morale implica, e Valitutti<br />

lo mette bene in evidenza, il concetto del primato della cultura nella storia: la cultura,<br />

che non è solo etica, ma <strong>di</strong> cui l’etica è parte essenziale, anzi il fuoco vitale, muove e<br />

<strong>di</strong>rige la società: perciò ogni rinnovamento della società dev’essere rivoluzione<br />

culturale (questo pericoloso termine è usato non da un maoista, ma, con certe riserve,<br />

dallo stesso Valitutti).<br />

Quest’interpretazione unitaria a me pare quasi del tutto convincente; una ragione<br />

sarà che io vi ero pre<strong>di</strong>sposto da tempo. Infatti la lettura mi ha riportato agli anni della<br />

mia giovinezza, cioè agli anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> presso la Facoltà <strong>di</strong> Lettere e la Scuola Normale<br />

<strong>di</strong> Pisa, intorno al 1940. Allora in quell’ambiente il <strong>di</strong>battito sull’impostazione e sul<br />

metodo della critica letteraria era molto vivo: Luigi Russo stava elaborando una delle<br />

sue opere più polemiche, quella sulla critica letteraria contemporanea. Egli non<br />

intendeva rompere con la base dell’estetica crociana, con la <strong>di</strong>alettica <strong>dei</strong> <strong>di</strong>stinti, ma

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