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Contratto ImpresaEuropa - Cedam

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SAGGI 987<br />

ta, in grado di armonizzare la regolamentazione del settore, il principio di<br />

non discriminazione tra imprese concorrenti nello stesso mercato opererebbe<br />

come « istanza di adeguamento del diritto interno ai principi stabiliti<br />

nel Trattato agli articoli 30 ss. (ora 28 ss. Tratt. CE) ».<br />

Ma quello che più stupisce è che, secondo la Corte, « ogni limitazione<br />

imposta dalla legislazione nazionale alla fabbricazione e alla commercializzazione<br />

delle paste alimentari nel territorio italiano che non rinvenga nel<br />

Trattato o, più in generale, nel diritto comunitario il proprio fondamento giustificativo<br />

[. . .] si risolve in uno svantaggio competitivo » a danno delle imprese<br />

nazionali.<br />

Perciò, secondo la Corte, la normativa nazionale più restrittiva deve<br />

essere eliminata e sostituita da quella comunitaria, in quanto in contrasto<br />

con il principio di uguaglianza interno e con quello della libera iniziativa<br />

economica. Tale contrasto però potrebbe essere superato se il trattamento<br />

più restrittivo trovasse giustificazione nello stesso diritto comunitario.<br />

Appare chiaro allora che, se le premesse e le conclusioni di questa<br />

pronuncia possono, tutto sommato, ritenersi soddisfacenti in quanto una<br />

normativa nazionale viene giudicata secondo parametri interni e giustamente<br />

viene ritenuta incostituzionale, i passaggi invece per arrivare a tali<br />

risultati sorprendono.<br />

Sorprende soprattutto il fatto che la Corte colga l’occasione delle discriminazioni<br />

« a rovescio » per ribadire l’impostazione dualistica.<br />

Invece, il richiamo stesso allo « spazio lasciato libero allo Stato italiano<br />

» e l’applicazione alle situazioni interne della disciplina comunitaria rivelano<br />

la consapevolezza che né la separazione né la primazia del diritto<br />

comunitario riescono ormai a spiegare compiutamente i rapporti fra i due<br />

ordinamenti. Ambedue le tesi avevano cominciato a perdere credibilità<br />

fin da quando la Corte di Giustizia, rispondendo alle Corti tedesca ed italiana,<br />

si era richiamata alle tradizioni costituzionali comuni. E da allora,<br />

sul terreno cruciale dei diritti fondamentali una rete sempre più fitta di interazioni<br />

fra Corti costituzionali e Corte di Giustizia ha reso inverosimile<br />

il ricorso a qualunque teoria tradizionale di rapporti tra ordinamenti.<br />

Il rapporto di separazione tra gli ordinamenti opera però come base<br />

per la legittimazione di un intervento da parte del giudice interno. Il richiamo<br />

ad altre norme comunitarie dimostra invece come questa impostazione<br />

sia in realtà riduttiva. Lo stesso tentativo che la Corte fa di attribuire<br />

alla Corte di Giustizia l’affermazione che i due ordinamenti sono<br />

separati cade nel vuoto: la Corte di Lussemburgo considera irrilevanti per<br />

il diritto comunitario le situazioni puramente interne perché appartengono<br />

ad un ordinamento diverso ma non in quanto distinto, quanto piutto-

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