organizzazione snella e modulare. Come si adatta il sindacato
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M. Canauz – Oltre <strong>il</strong> taylorismo: l’Organizzazione Snella, quella Modulare e <strong>il</strong> loro Riflesso sul Sindacato<br />
di tutti, compreso gli operai comuni.<br />
Per farlo era necessario superare l’equivalenza, fino ad allora dominante tra informale e<br />
proibito. Si doveva, inoltre, essere disponib<strong>il</strong>i a rendere esplicito <strong>il</strong> proprio sapere, e ad accettare<br />
che l’azienda lo possa ut<strong>il</strong>izzare per razionalizzare <strong>il</strong> processo produttivo e migliorare <strong>il</strong> prodotto.<br />
Si chiedeva ai lavoratori una fiducia verso l’azienda affinché aiutassero a rendere <strong>il</strong> processo<br />
produttivo più trasparente, ovvero più controllab<strong>il</strong>e nell’ottica di un miglioramento continuo che<br />
viene standardizzato. Il risultato finale di questa operazione che deve necessariamente basar<strong>si</strong> sul<br />
consenso era quello di una radicale ridefinizione dell’one best way di tayloristica memoria.<br />
Nel taylorismo <strong>il</strong> miglior modo per produrre era imposto dall’alto. Nel caso in cui qualcuno<br />
avesse pensato di operare diversamente era perseguib<strong>il</strong>e disciplinarmente.<br />
Ogni scostamento era con<strong>si</strong>derato una devianza e gli operai spesso tendevano a nascondere i<br />
loro comportamenti difformi (che tuttavia ritenevano migliori del modo indicato dall’azienda)<br />
nella zona d’ombra della propria autodifesa.<br />
Quando <strong>il</strong> modello tayloristico fu ritenuto inadeguato <strong>si</strong> ritenne che anche l’one best way<br />
fosse superato dissolto dalla comples<strong>si</strong>tà tecnologica e dalla autonoma iniziativa operaia.<br />
Infine con la Fabbrica Integrata <strong>si</strong> riscoprì l’ideale dell’one best way, ma a differenza di<br />
quanto era previsto dal taylorismo esso non era più uno standard imposto dall’alto, bensì <strong>il</strong><br />
risultato sempre migliorab<strong>il</strong>e di una ricerca interattiva che coinvolgeva ogni addetto a processo (<strong>il</strong><br />
quale, a sua volta, doveva far<strong>si</strong> coinvolgere.)<br />
Rimaneva <strong>il</strong> dubbio (teorico 35 e pratico) del perché i lavoratori dovessero rinunciare al loro<br />
sapere (anche se informale) consegnandolo all’azienda <strong>si</strong>a pur per una pos<strong>si</strong>b<strong>il</strong>e (non certa)<br />
miglioramento della prestazione.<br />
Tra le ipote<strong>si</strong> avanzate riporto quella di Bonazzi: « La nostra ipote<strong>si</strong> è che le ragioni del<br />
consenso operaio in Fiat sono da ricercare in primo luogo nelle trasformazioni che <strong>il</strong> lavoro ha<br />
subito negli anni ’80 durante la fase di Alta Automazione e in secondo luogo nel fatto che le<br />
maggiori novità della Fabbrica Integrata riguardano soprattutto <strong>il</strong> ruolo dei quadri intermedi,<br />
mentre <strong>si</strong> innestano in modo non traumatico sul lavoro operaio, dove completano in senso<br />
po<strong>si</strong>tivo le trasformazioni iniziate durante la fase di Alta Automazione». 36<br />
Personalmente, anche alla luce dei fatti credo che parlare di consenso <strong>si</strong>a ecces<strong>si</strong>vo.<br />
Di fatto la mutata gestione del personale meno padronale e meno rigida e le migliorie<br />
apportate agli ambienti di lavoro più <strong>si</strong>curi e più confortevoli (anche a seguito dell’automazione<br />
spinta) hanno senza dubbio diminuito <strong>il</strong> malcontento dei lavoratori.<br />
35 Si veda a tale propo<strong>si</strong>to i clas<strong>si</strong>ci lavori di Burawoy e Crozier (1961).<br />
36 Bonazzi G. (1993), [103].<br />
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