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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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leggere il biglietto. Lo sfilai dalle dita gelide e avvertiiun profumo di rosa. Era piegato in quattro parti e loapersi in modo da poterlo leggere:“Il tuo cuore è caldo e generoso / ed io vi vorrei viverein eterno: / mi pare un paradiso favoloso / e fuordi esso tutto è come inferno”.Lo ripiegai riponendolo tra le dita della fanciulla con lacoda di serpente e guardai il ragazzo strisciante negliocchi, suggerendogli che non avevo capito.“Tu mi devi aiutare – mi ripetè, spiegandomi - deviscoprire chi ha ucciso la mia ragazza, e perché”. A unasimile richiesta rimasi sorpreso, benché avessi mille altrimotivi per stupirmi. Del resto mi sentivo partecipe di unsimile mistero. Ancora non ho capito perché sono qui ascrivere questo quaderno. Mi chiedo se qualcuno mai loleggerà, mai ne verrà a conoscenza. E se forse ungiorno, ancorché remoto, trovato, aperto, sfogliato,studiato; che effetto farebbe? Potrebbe sembrare ildiario di un pazzo, gli appunti di un visionario, i pensieridi un ebbro. Chi mai prenderà sul serio questo blocco difogli sconclusionato, e a chi potrebbe interessare unastoria del genere? Povero Telèmaco, ma se scrivendostai meglio, scrivi pure, che, anche se nessuno maileggerà ciò da te scritto, la tua anima ne trarràgiovamento. Nargo, così seppi chiamarsi l’uomo dallacoda di anguilla, mi lasciò solo con questo compitotanto pesante. Strisciò fuori dalla grotta fino ascomparire. Rimasi accanto al corpo di Igria dagli occhichiusi, senza sapere come poter riuscire a risolvere ilmistero. Non sapevo dov’ero, e non sapevo nulla diquella gente: come potevo trovare l’assassino? Eperché dovevo farlo io? Le domande mi assillavanofinquando mi resi conto di essere prigioniero in quellagrotta. C’era qualcuno lì oltre a me? Strepitai, urlai perrichiamare l’attenzione. “Chi disturba il sonno di Anoti?”parlò una voce, e vidi un uomo anguilla venire verso dime. Era un po’ paffuto, dall’aspetto bonario ma severo:era chiaro che l’avevo disturbato e gli dovevo dellescuse. Provavo vergogna e curiosità insieme. Miaccostai chiedendo perdono: “non importa, nonimporta” alzò gli occhi al cielo. Strisciava un po’seccato, io non potei fare altro che stargli dietro. Mivolsi solo per un attimo, giusto per dare un ultimo,commosso, sguardo al corpo di Igria lambito dall’acqua.Entrai nella casa di Anoti, dalle pareti di fangoessiccato. Mi sentivo decisamente a disagio, forseperché ancora non conoscevo i motivi che mi avevanospinto fin lì, e non mi era ben chiara tutta questafaccenda. Anoti m’invitò a sedere a tavola e a mangiarecon lui. Accanto al tavolo, stabile su un tripode, untelevisore diffondeva delle immagini di paesaggisottomarini. Mangiai una specie di crema che sapeva dipesce. Non era buona, ma mi sentivo obbligato afingere che mi piacesse. Mentre ingoiavo quel fluidocommestibile guardavo il padrone di casa che, attento,sedeva avvolto sulla sua coda di anguilla osservando leimmagini televisive. Non mi parlava e, dal canto mio,non me la sentivo di rompere il ghiaccio. Visto che nonpotevo fare altro il mio pensiero volò sul mistero dellamorte di Igria. Forse Anoti poteva aiutarmi, forsesapeva qualcosa. Non lo conoscevo: forse potevaessere pericoloso parlarne subito con lui. Preferiiimmaginare la dinamica dell’accaduto: ma lo sforzo miparve così difficile che ci volle poco per farmi desistere.Finchè apparve sullo schermo il telegiornale, o qualcosadi molto simile. La prima notizia trasmessa fu proprioquella riguardante la morte di Igria: immagini di lei daviva, immagini di lei da morta, la dolorosatestimonianza di Nargo. Poi si parlò delle indagini. Furivelato che la polizia aveva uno schizzo del presuntoomicida. In quel momento la mia curiosità era allestelle, e anche Anoti era come rapito dalle immaginitelevisive. Entrambi aspettavamo di vedere quel volto.Fu mostrato da un ispettore della polizia di quellastrana gente. Era un ritratto a carboncino. E in quelritratto c’era disegnato il mio volto. Ero io. Incredulo,atterrito, mi guardai attorno. Anoti si scansò dopo unbreve sussulto e mi guatò. “C’è un errore” misi le maniavanti, ma capii che ero poco convincente. “Sei statotu” le uniche parole dette dal padrone di casa,pronunciate con certezza e distacco, quasi fosse unmagistrato giudicante. Forse era una trappola ordita daNargo, ma non era plausibile. “Sei stato tu – continuòAnoti – l’hai uccisa quando hai smesso di sognare”.Questa è la sentenza dell’uomo anguilla che ancora mitormenta, e non mi fa riposare. Non riesco a prenderesonno in questo carcere nascosto sotto il fiume. Sonopassati mesi, anni, non so, non so più chi sono. Ormaiho visto meglio e di più il fiume dal basso che dall’alto.Qui, sono qui imprigionato dagli uomini anguilla, perscontare la pena di un reato che non so né perché néquando ho commesso. Che non so né se né come l’hoperpetrato. Chissà se qualcuno leggerà il mio quaderno.Sono rimasto, ancora una volta, solo. Aspetto confiducia e speranza chi mi libererà.Francesco Tiberi — Porto Recanati (MC)BUFFI CORVI, UN POMERIGGIO DI TARDOAUTU<strong>NN</strong>ODifficile capire perché non trovassero mai il tempo ditelefonare. Mario non ci faceva più caso, ma si sa, gliuomini. Eppure Agnese era convinta di aver fatto unbuon lavoro coi suoi due figli.Come ogni mattina da quasi quarantadue anni, Agneseaspettava che nella vecchia moka ossidata risuonasse ilgorgoglio ovattato del caffè prima di chiamare Marioper la colazione. Quasi ottant’anni, questi conservaval’accuratezza nella cura della propria persona che loaveva accompagnato per tutta la vita lavorativa.Quando era uno degli uomini che contavano qualcosa,giù in città.Agnese armeggiava lenta e pensierosa tra i pensili dellacucina mentre egli si radeva, fischiettando un motivodegli anni cinquanta di cui non ricordava più il titolo eserrava a regola d’arte il nodo alla cravatta checambiava quotidianamente.Mario adorava gustare il caffè appena fatto e sfogliarele soffici pagine del giornale, ancora umide diinchiostro, che sua moglie scendeva a comprare ognimattina all’angolo del viale. Nonostante le forzestessero scemando da tempo, si sentiva in dovere diaccudirlo e viziarlo come sempre aveva fatto, dacché sierano uniti in matrimonio.Mario era stato un professionista di buon successo cheaveva provveduto alla famiglia più che dignitosamente.Era fiero di sé e riteneva che la vita potesse essere10<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009

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