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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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Szamosközy, tranne il curriculum di Cuspinianus:«Crastonius Gorippus (!), qui libros Iohannidos scripsit,qui habentur in Bibiliotheca Budensi». Dobbiamo peròdire che Szamosközy non era il solo a credere che ilnome da lui usato fosse quello giusto, perché lotroviamo nella stessa forma sbagliata nellaconosciutissima Bibliotheca universalis di ConradGesner e non è cambiato nemmeno nelle edizioni acura di Josias Simmler e Johann Jacob Frisius diGesner. 28 Lo storiografo transilvano avrebbe potutoprendere il nome anche da loro, ma come abbiamo giàsottolineato, possiamo essere quasi sicuri che lui nonconoscesse il catalogo dei nomi di Gerbelius. StephanusGeographus: Secondo ogni probabilità Szamosközy usail nome dell’autore nella forma citata, perché sia per luiche per i suoi contemporanei era del tutto evidentequale “Stephanus” s’intendes se con questo nome. Èprobabile che si trattasse di Stephanus Byzantinus del Vsecolo, che scrisse il suo lessico geografico intitolatoEthnika (nella traduzione latina: De urbibus et populis],che e risultato una fonte inesauribile sia per gli umanistiche per i ricercatori dei giorni nostri per conoscerealcuni episodi attinenti alla geografia o alla storia dellaloro patria. 29 La letteratura, a tutt’oggi vastissima, dellaricerca della Corvina è però priva di dati relativiall’eventuale esistenza di questa opera famosa nellaraccolta di Buda e non siamo riusciti nemmeno aricevere una risposta alla domanda, su come potevaconoscerla Szamosközy. Non è discutibile che neconosciamo anche tre edizioni cinquecentesche, 30 ma innessuna di queste ci sono tracce che indichino che laloro base sia stata una corvina. Non si legge di questoné nelle prefazioni delle edizioni posteriori 31 nénell’editto finora ritenuta la migliore. 32Szamosközy ha visto il codice? Se pensiamo inparticolare ai numerosi esemplari rimasti in Italia di taleopera, per esempio, in primo luogo, a quello custoditopresso la Biblioteca Trivulziana, 33 teoreticamente nonpossiamo escludere questa possibilità.Riteniamo importantissimo ricordare chenell’Österreichische Nationalbibliothek si custodisce unacopia acquistata da Sebastian Tegnagel, 34 e che volumidella stessa provenienza vengono elencati anche daCsapodi, sebbene trattati entrambi come “corvinediscutibili”. 35In tale situazione siamo costretti a mettere per iscrittodelle ipotesi. Ci pare evidentemente più logico supporreche nonostante i risultati “negativi” delle fonticonsultate, Szamosközy ha comunque preso la suainformazione da un’opera a stampa. Non è escluso cheprovengano da una voce “Stephanus Byzantinus” di unodei lessici dell’epoca, dove si faceva accenno allapresenza dell’opera in questione nella Corvina.Non possiamo escludere però nemmeno la possibilitàche il nostro storiografo abbia preso da tutt’altra fontela sua informazione relativa alla presenza nella Corvinadel lessico geografico. È così presumibile anche che,nonostante il fatto che le edizioni cinquecentesche equelle posteriori in realtà non siano state pubblicate inbase al manoscritto della biblioteca di Mattia,Szamosközy abbia messo le loro pubblicazioni incontatto con la sua informazione relativa all’esistenzadel codice. È supponibile anche per questo che loscrittore dell’ars historica abbia eventualmente visto ilcodice stesso.Consultando sette codici abbiamo dovuto affrontare unsolo caso in cui la domanda sulla provenienzadell’informazione di Szamosközy è rimasta senzarisposta. Questo fatto negativo ci dimostra addiritturache, studiando sistematicamente le prefazioni di tutte leedizioni dei testi antichi connessi in qualsiasi modo conla Corvina, si ottiene un quadro molto più concreto delmodo di pensare degli umanisti europei su questabiblioteca andata distrutta. Le conoscenzesoprammenzionate erano a disposizione di tutti coloroche, per vari motivi, volevano ricostruire la biblioteca diMattia. Tali tentativi si conoscono già a partire dalsecolo XVII.Nel presente articolo mettiamo in rilievo i documentiche sono connessi con l’acquisizione dei libri da partedell’ordine dei Gesuiti.Il conte e condottiero austriaco Michael Rudolf Altham(1574-1638) e ambasciatore di Mattia II presso la cortedei Turchi e presso il principe Gabriele Bethlen inTransilvania. 36 L’8 aprile 1618 il conte scrive al Papa perpromuovere lo scambio dei libri turchi della bibliotecaprincipesca toscana con quelli della biblioteca di Buda. 37Successivamente troviamo delle lettere chetestimoniano che anche l’ordine dei Gesuiti si mobilitaper ottenere lo stesso scopo. Muzio Vitelleschi, generaledell’ordine dei Gesuiti, nella sua lettera dell’8 giugno1618 a Florianus Avancinus, rettore del Collegio deiGesuiti di Vienna, esprime i suoi dubbi relativi alsuccesso dell’iniziativa. Non crede che la biblioteca diBuda sia acquisibile tramite uno scambio con i libriturchi posseduti dal duca toscano Cosimo II Medici(1590-1621), ma se il Papa non vuole scrivere al Duca,lui, il Vitelleschi, si rende disponibile a farlo. 38Lo stesso Vitelleschi scrive anche la lettera successiva,del 19 giugno 1618, all’ambasciatore di Vienna delSultano, Caspar Gratiani, 39 comunicando di averprovato di intercedere presso il Papa, che però noninterverrebbe volentieri nell’affare. Conoscendo l’amoreper gli oggetti dell’antichità del Granduca, il SantoPadre eviterebbe una situazione scomoda per tutti edue e cioè l’eventualità che il Granduca rifiuti la suarichiesta. Ciò nonostante, nella lettera del 29 settembre1618 scrive già all’ambasciatore, informandolo che ilPapa ha cambiato opinione ed e pronto a favorire lacausa dei libri turchi. 40 Nella letteratura ungherese èregistrato che sia Gabriele Bethlen che Giorgio Rákóczifecero tentativi per acquistare i libri di Buda. Lostudioso Csaba Csapodi, che ha affrontato forse piùapprofonditamente la storia della biblioteca di Mattia, siè occupato lo stesso del problema dell’esistenza dei libria Buda dopo il 1526 e quanti codici poteva contare ilnucleo lasciato li dagli umanisti bibliofili, dalle truppemercenarie e dagli impiegati della tesoreria delSultano. 41 Secondo le sue ricerche, nel Palazzo di Budanon è rimasta un’unica raccolta di libri degna di esseremenzionata. 42 Nonostante l’ampia argomentazione diCsapodi, proponiamo, in base a quanto detto, di nonescludere come ipotesi di lavoro la possibilità diconfutare la sua opinione. Vale a dire, è difficilesupporre che sia i Gesuiti ungheresi che i prìncipi diTransilvania non abbiano fatto tentativi di acquistare ilibri in questione senza fare prima una ricerca relativa al<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200921

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