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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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in qualche nuovo modo”. Quel “nuovo modo” che ilMaestro aveva percepito, lo si avverte ancora oggiintero e intatto nei sunti, nelle note, nelle traduzioni enel “commentario” sulla poesia epica in Roma checostituisce l’introduzione di Epos.E il Virgilio di Epos è lo stesso dei Carmina, dove ha unruolo di primo piano, nella sua veste di poeta bucolico egeorgico, in due poemetti: l’Ecloga XI sive ovispeculiaris – vera e propria prosecuzione ideale delledieci ecloghe virgiliane – ed il Senex Coricius, in cui unfamoso episodio delle Georgiche (IV 125 segg.) èsviluppato e variato con un’adesione tale al mondospirituale del modello, che fece restare stupiti edammirati esegeti come il Gandiglio ed il Barchiesi. Poiritroviamo Virgilio nel Moretum, dov’è silenzioso, quasiritroso, sulla raeda di Mecenate che prende su Orazioper una delle tante scampagnate e nell’aia assolatad’una masserìa ricorda al patronus che l’olezzantefocaccia di cui s’è invogliato è il moretum pieno d’aglioche lui stesso aveva cantato da giovinetto. Nella Cenain Caudiano Nervae il Mantovano discute di poesia conOrazio e con altri dotti amici, e raccomanda alVenosino, tra lo stupore dei presenti che intuiscono ilnascere di cose immortali, di continuare la sua opera,s’egli non vivrà ancora a lungo, cantando la bellezza ela grandezza di Roma (e Orazio adempirà alla promessainnalzando il suo Carmen Speculare). In FanumVacunae Virgilio compare nel sogno di Orazio che sitramuta in un inno di riconoscenza per il suo“verecondo amico” (Lyra); in Sosii Frates BibliopolaeMarco Sosio sta dettando nel retrobottega ai suoicopisti i primi versi del primo libro delle Georgiche eVirgilio è oggetto delle critiche severe del vecchio poetaFurio Bibàculo; infine in Ultima Linea è presentenell’affettuoso ricordo di Orazio (Virgilio ormai non c’èpiù) che diviene al tempo stesso una certezzanell’immortalità della poesia.Ma guardando ai riferimenti di lingua, di stile, dicontenuto, possiamo dire che Virgilio sia presente nonsoltanto nel Liber de Poetis, bensì in tutte le altresezioni dei Carmina e massimamente, per affinità diargomenti con la poetica pascoliana, nei Ruralia, ipoemetti georgici che hanno per protagonisti animali epiante. Per tacere della poesia italiana, in cui ilMantovano è sempre costantemente presente non sololaddove compaiono temi d’ispirazione georgica, masoprattutto quando – come abbiamo già detto sopra – ildolore diviene il sostrato e il leit motiv della profondaispirazione lirica pascoliana.“Per fare un Virgilio ci vuole il dolore. Ci vuole, per direpiù propriamente, in un’anima grande la grandeemozione superstite d’un grande dolore”, egli scrive: equi è possibile trovare, in sintesi, tutto il motivodell’adesione spirituale del moderno all’antico poeta.Come scrivevo in una mia vecchia plaquette (M.PE<strong>NN</strong>ONE, Pascoli e Virgilio, Personaledit, Genova,1996, ma il breve saggio era stato scritto nel 1981 inoccasione del bimillenario della morte del sommoMantovano), il Virgilio del Pascoli è “vissuto”direttamente, non si ferma all’impressione paesaggisticadel famoso sonetto carducciano delle Rime Nuove oall’immagine bella e preziosa del sonetto dannunzianoPer la mèsse (da L’Isotteo): il Virgiliuo del Pascoli èPoeta fraternamente amico e vicino, oltre le barriere deltempo. È il Poeta degli umili, dei deboli, dei diseredati,degli “sradicati”, degli esuli; è il Poeta che ha provatosu di sé il dolore, e perciò vede gli uomini e il mondosotto una luce diversa. Il dolore è l’altro versante dellaserena Arcadia virgiliana; il dolore, presente anchenell’Eneide (si ricordi il celeberrimo verso: sunt lacrimaererum et mentem mortalia tangunt, I 462), è l’essenzache sprigiona dalla vita e dall’opera del Poeta di SanMauro. La pietas virgiliana, che nel poema immortale èriversata su Enea, è la pietas del Pascoli di fronte almondo, sia pur crudele, degli uomini; è un invito allabontà, alla mitezza, alla fraternità, a comporre lediscordie e gli odii in quel sentimento di fratellanzaumana che dovrebbe unire sulla “prona terra” tutti gliuomini, tutte le classi sociali, unite sotto la guida di unnuovo ordine universale (chi non ricorda il finale de Idue fanciulli?: “Uomini, Pace!…”).La formazione del pensiero pascoliano va ricercata,oltre che nell’influsso delle correnti positivistiche cosìattive al suo tempo, anche nel fondo intellettualisticodel pensiero dei grandi classici, specialmente la dottrinaepicurea di Lucrezio, di Orazio, dello stesso Virgilio, suiquali aveva a lungo studiato. Si viene così a ingenerareun incessante contrasto tra la sua intima natura, che lospingerebbe ad una piena adesione al Cristianesimo, ela sua formazione classica che, malgrado il desideriosincero di una fede, lo portava a dolorose conclusioniagnostiche.Lyra ed Epos ci illuminano dunque sul particolareatteggiamento del Pascoli di fronte ai classici e sul suopersonalissimo modo di intenderli e sentirli. E non pochidi quei motivi che si rilevano dalla lettura dei“commentarii” delle due antologie, dalle introduzioni edalle note ai singoli brani, li ritroviamo poi tradotti inpoesia latina nei Carmina e anche in svariati luoghidella poesia italiana. Per molti anni è sfuggito aparecchi critici il ruolo importantissimo che queste dueopere di “critica poetica” (o, come dissi io nella mia tesidi dottorato: M. PE<strong>NN</strong>ONE, Pascoli: da Lyra al Liber dePoetis. Dal momento filologico al momento creativo,Ist. Di Filologia Classica e Medievale, Univ. Degli Studidi Genova, A.A. 1977-78, di “poesia critica”) hannoavuto nella gènesi non solo di parecchi dei Carmina(alcuni di essi non sono che lo sviluppo poetico diun’idea abbozzata in sede critica, come il Catullocalvosod il Moretum), ma anche di alcune delle Myricae(come ha dimostrato A. SERONI, Per una storia delleMyricae, in “Letteratura”, 19, 1941) e dei PoemiConviviali.Ed è proprio per questa stretta interdipendenza tral’opera di pensiero e l’opera poetica che i Carmina nonsono affatto, come il Croce ebbe a credere e taluniancora continuano a sostenere, una sempliceesercitazione umanistica, ma la spontanea, naturaleespressione artistica dell’intimo sentire dell’Autore, diquegli spiriti e di quelle forme della classicità romana edel primo Cristianesimo che il Pascoli vedeva e sentivaessenzialmente nella sua veste primaria, cioè quella dipoeta. In altre parole – conclude lo Jannaco – fuproprio l’originale e speciale modo di studiare e disentire l’arte e la storia di Roma antica e le primevicende cristiane che, unitamente ad una padronanzaveramente straordinaria della lingua e della metricalatine, portò quasi necessariamente il Pascoli ad<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200973

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