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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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Questo intermezzo intorno all’essenza dellatraduzione vorrebbe ricordarci che la difficoltà di unatraduzione non è mai meramente tecnica, ma che inessa ne va del rapporto dell’uomo con l’essenza dellaparola e con la dignità della Lingua. Dimmi cosa pensidel tradurre e ti dirò chi sei._________________________NOTA: Questa breve riflessione sulla traduzione è prelevatada un corso che Heidegger tenne all’Università di Friburgo nelsemestre estivo del 1941 (proprio quando sotto il suo nasoimperversa la guerra, lo sterminio nei campi…ma questa èun’altra storia. O, forse, no?!) ed ora pubblicata nel Volume53 della Gesamtausgabe con il titolo Hölderlins Hymne ‘DerIster’. Il corso appartenente al ciclo delle letture che in queglianni Heidegger dedica agli inni di Hölderlin. Heideggerinserice questo breve intermezzo sulla traduzione, quando sitratta di interpretare (e quindi, in qualche modo, di tradurre)il significato del deinon, evocato nel primo canto dell’Antigonedi Sofocle che in una delle tante traduzioni italiane suonacosì:“Molti sono i prodigi (deina)e nulla è più prodigioso (deinoteron)dell’uomo,che varca canutosospinto dal vento tempestoso del sud,fra le ondate penetrandoche infuriano d’attorno,e la più eccelsa fra gli dei,la Terra imperitura infaticabile,consuma volgendo l’aratroanno dopo annoe con l’equina prole rivolta.”(Sofocle: Antigone; Tr. It di Franco Ferrari, BUR, pp. 83-85)Ebbene quello che qui viene reso con “prodigi” (traduzionecanonica) viene “tradotto” da Heidegger con Unheimlich(termine divenuto famoso dopo Freud e che apre ad un“ventaglio di sensi”, direbbe Mallarmé, quasi incontrollabile:spaesamento, perturbante, non-familiare etc.). Proprio pergiustificare questo gesto di violenza filologica, Heidegger sisente costretto ad inframezzare, nel corso della sua letturainterpretazione,questo breve excursus sulla traduzione.Chi ha un pò di esperienza con le letture heideggrianericonosce subito un certo stile nel trattare le questioni intornoal linguaggio. Il linguaggio non è semplicemente unostrumento a nostra disposizione e con cui comunichiamo,esprimiamo etc., ma è essenzialmente “qualcosa” di piùradicale ed originario, nel senso che qui “linguaggio” è il nomedi un’apertura da qui ogni atto di significazione divienepossibile. Il linguaggio, in sostanza, è l’evento che ci faapparire le cose, vincolandoci a dirle nel modo in cui le faapparire. Perché io dica in generale qualcosa, bisogna, comedire, che il linguaggio sia già qui; e questo semplice assioma,forse, lo si dimentica troppo spesso.Traduzione di © Daniele GalassoinTRAlinea 1998 [online] www.intralinea.itRITO E SACRIFICIO NELLE TRADUZIONI DIOTELLOL’importanza delle scelte interpretative del traduttorein rapporto all’individuazione di chiavi di lettura deltesto originaleL’argomento principe di questo articolo vuole esserel’assoluta importanza dell’interpretazione del testo daparte del traduttore. In particolare il contributo sisofferma sull’analisi di tre versioni italiane dell’Othello diShakespeare. La prima ad essere considerata è laversione di Carcano, la seconda è quella di Piccoli el’ultima è la versione di Quasimodo. Partendo dallapossibilità di una lettura in chiave rituale dell’Otelloshakespeariano, evidenziata e delimitata da due parolein particolare, “rite” e “sacrifice”, pronunciaterispettivamente da Desdemona nel primo atto e daOtello nel quinto, passo a considerare la possibilità diquella stessa lettura nelle traduzioni italiane. Ciascuntraduttore traduce un testo in base alla propriainterpretazione e alle proprie scelte personali, sicchéogni traduzione evidenzierià elementi che invece altreversioni non avevano considerato.IntroduzioneChe l’Otello sia la tragedia della gelosia lo hannosottolineato in molti. Sergio Perosa, per esempio,notava come: “L’Othello è una tragedia della gelosia,[…]”. La tragedia della gelosia “perché i personaggiparlano con codici diversi, che si incontrano solo sottomentite spoglie” (Shakespeare, 1990: L); Lessingaffermava che nessun dramma può avere sulle nostrepassioni un’influenza maggiore (in proposito vediShakespeare, 1958) ed anche Guido Ferrando, altrotraduttore shakespeariano, introducendo la versione delPiccoli notava come negare la gelosia di Otello sianegare l’evidenza[1]. Certamente è difficile negare chequesta non sia una delle tematiche che emergono daltesto shakespeariano, tuttavia essa è appunto solo unadelle tante letture che il testo suggerisce, letture che lesuccessive rappresentazioni della tragedia hanno via viamostrato sulla scena, evidenziandone di volta in volta,in maniera assolutamente tangibile, ora un aspetto oraun altro. Uno degli aspetti che con altrettantaprepotenza si fa spazio tra le pagine della tragedia èsicuramente quello della ritualità, ritualità dei gesti edelle parole dei protagonisti, tema questo che percorretutta la tragedia e che emerge dalla superficie del testoparticolarmente in alcuni punti. In effetti, sono stati iprotagonisti stessi del dramma a suggerirmi il titolo diquesto breve intervento:è Desdemona a pronunciareper prima la parola “rito”, quando nel primo atto chiedeal Doge di poter seguire suo marito a Cipro invocando“the rites for which I love him”[2] (Atto I, III, 258) ed èa sua volta invece Otello a parlare di “sacrifice”, quandonell’ultimo atto dice “makest me call what I intend to doa murder, which I thought a sacrifice” (Atto V, II, 64-65). Shakespeare ci fornisce, dunque, una chiave dilettura all’inizio del dramma, che si sviluppa e si riveleràa pieno solo alla fine. Naturalmente dal rito iniziale alsacrificio finale, ci sono ancora tutta una serie dielementi “rituali” che si presentano nella tragedia,elementi che via via si sviluppano e prendono corpofino alla rivelazione finale, suggerita da Otello stesso:non è più un “sacrificio” quello che si sta compiendosulla scena, ma piuttosto un “assassinio”. Il passaggio èdecisivo e si sviluppa per gradi fino alla rivelazioneconclusiva, concretizzandosi nella ripetizione dellaparola “murder”, che compare più volte concentratanelle ultime scene. Sono dunque i protagonisti stessi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200983

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