aveva tanto amato. La vecchia signora si nutrivapochissimo, con grande difficoltà. Il suo corpo stavasvanendo, diventando impalpabile.Sentiva tanto freddo a star ferma, tagliuzzata daglispifferi che filtravano dai vecchi infissi, ma non dicevanulla alla badante. Quell’appartamento avrebbe avutobisogno urgente di manutenzione, ma era inutilesollevare la questione. Per i figli sarebbe stato soltantoun inutile spreco di denaro.Un mattino, il viale ancora buio ed addormentato,Agnese sentì un sussulto agitarle il petto. La gola secca,stretta da muchi e tristezza, le gambe rattrappite dallaprolungata stasi. Testa pesante, occhi offuscati dallaluce fioca. Eppure, non era ancora morta. Per chissàquale oscuro processo mentale, le venne in mente diessere stata una bella donna, qualche secolo prima.Sentì il bisogno struggente di sentirsi viva. Ancora unavolta.Sferzata da dolori lancinanti si alzò dalla poltrona tantoamata e si avvolse in una coperta di lana di Donegalstrisciando silenziosa sulle pantofole di feltro sino al suovecchio guardaroba, attuale stanza di servizio dellasignora Colombo.Animata da una sorta di vanità senile Agnese aprì l’antadel grande armadio bianco che la sovrastava, in cercadi uno dei suoi capi migliori, da indossare sopra lavecchia vestaglia bordeaux che non cambiava da più diun mese. Molte grucce spoglie le strozzarono il respiro.Aprì un cassetto, affannata. Poche cianfrusaglie. Il suobellissimo tailleur grigio di lana inglese, sparito.Alla vista delle sue due pellicce – che un tempo eranostate anche belle e che Mario le aveva regalatocolmandola di gioia futile, ma che la fece sentire unavera signora per la prima volta in vita sua – infilate allameglio in un sacco dal quale spuntava anche la teieradel suo servizio di porcellana, non resse. Si accasciò susé stessa emettendo un rantolo soffocato, piegò latesta su di un fianco e cercò intensamente i grandiocchi di Mario.La signora Colombo la ritrovò così, stesa sul pavimentodi marmo, il volto deformato da una smorfia, grigia efloscia come uno straccio vecchio.Inizio dicembre, primo pomeriggio. Luce diffratta dabasse nubi biancastre cariche di minacce. Secondofunerale.L’omelia del prete, interrotta più volte da un grottesco eroboante soffiarsi di nasi, fu rapida come il passo delcorteo che accompagnò la traslazione del feretrosferzato dal vento. Piccoli fiocchi di neve, ghiacciati,graffiavano i dolenti.Laura e Giovanni procedevano in testa. Nelle loro figurela solennità oscura del lutto mescolata al fastidio per lacamminata fuori stagione. In testa, i calcoli sulla piccolaeredità che li attendeva. Una miseria, a loro dire. Giustoil vecchio appartamento da vendere e pochi oggetti divalore da spartirsi. Fraternamente.Indietro, la cerchia di vecchi che aveva posto a rischiociò che restava della propria salute per partecipare alrituale, guidata dal notaio che reggeva tra le mani ungrande mazzo di fiori, sorretto a fatica da una giovanenipote scocciata. Tutti goffamente intabarrati incappotti neri, ondeggianti. Buffi corvi, frettolosi.Il corteo si dispose in cerchio attorno al carro funebre,sulla soglia del grande cancello in ferro battuto chesegnava l’accesso alla spianata oltre la quale si apriva ilcimitero, in attesa della benedizione finale del prete e diuna tazza di tè bollente che riportasse calore nellemembra ed allontanasse i cattivi pensieri.Ad un tratto, l’attenzione di tutti i presenti fu catturatadalla comparsa della signora Colombo, altera edelegantemente avvolta da una pelliccia nera di vecchiotaglio che molti giuravano di aver già visto. Senzariuscire a ricordare dove.La donna porse ai due fratelli, che l’abbracciaronoriconoscenti, le proprie deferenti condoglianze. Conpasso fiero sfilò di fronte all’intera ed ammirataadunanza per andare a baciare per l’ultima volta,devotamente, la sua assistita. Ella procedeva a testaalta, scrutando i volti di tutti. In quella congrega divecchi infreddoliti qualche altro bisognoso di cure cidoveva pur essere.…Grandi Tracce… Grandi Tracce… Grandi Tracce…Giovanni Paolo II / Karol Józef Wojtyła (1920-2005)LA PACE SI COSTRUISCEAprite gli occhi a visioni di pace!Parlate un linguaggio di pace!Fate gesti di pace!Perché lo pratica della paceporta alla pace.La pace si rivela e si offrea coloro che realizzano,giorno dopo giorno,tutte quelle forme di pacedi cui sono capaci.Giovanni Papini (1881-1956)PERDONA LOROGesù sente per tutto il corpo una languidezza,un tremore, un desiderio di requie al qualeresiste con tutta l’anima, non ha promessodi patire quant’è necessario, fin all’ultimo?E nello stesso tempo gli sembra d’amar con piùstruggente tenerezza quelli che lascia, anchequelli che lavorano per la sua morte. E dal fondodell’anima, quasi un canto di vittoria sulla carnetronca e stracca, gli salgono le parole chenon scorderemo mai; «Padre, perdona loroperchè non sanno quello che fanno!.» Ora hariconfermato, sul punto della morte, il suodivino e difficile insegnamento: l’amore peri nemici, e può tender le mani al martello.Andrea Zanzotto (1921-)ELEGIA PASQUALEPasqua ventosa che sali ai crocifissicon tutto il tuo pallore disperato,dov’è il crudo preludio del sole?e la rosa la vaga profezia?Dagli orti di marmoecco l’agnello flagellatoa brucare scarsa primavera14<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009
e illumina i mali dei mortipasqua ventosa che i mali fa più acutiE se è vero che oppresso mi composeroa questo tempo vuotoper l’esaltazione del domani,ho tanto desideratoquesta ghirlanda di vento e di salequeste pendici che lenironoil mio corpo ferita di cristallo;ho consumato purissimo paneDiscrete febbri screpolano la lucedi tutte le pendici della pasqua,svenano il vino gelido dell’odio;è mia questa inquietaGerusalemme di residue nevi,il belletto s’accumula nellestanze nelle gabbie spalancatedove grandi uccelli covaronocolori d’uova e di rosei regali,e il cielo e il mondo è l’indegno sacrariodei propri lievi silenzi.Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombrale bocche non sono che sanguei cuori non sono che nevele mani sono immaginiinferme della serache miti vittime cela nel seno.DIARIO DI LETTURA & PRESENTAZIONI____________Galleria Letteraria & Culturale Ungherese____________Lirica unghereseIfj. Ábrányi Emil (1850-1920)CREDOBár napról napra látomHogy mennyi szenvedésÖl, rombol a világonS a boldog mily kevés;Bár győz a jóval szembenAz aljas, a hamis,S e véres küzdelembenTántorgok magam is:Míg lesz e durva földönEgy szép emberi tett:A gyászt még fel nem öltömS ünneplem a hitet.Amíg lesz könnyem, vérem,Míg lelkemet tudom:Mindig a jót remélemS a rosszat siratom!Junior Emil Ábrányi (1850-1920)CREDOMalgrado vedo ogni giornoQuanta sofferenzaUccide, distrugge nel mondoE la gente gaia è rara;Malgrado che il vile e il falsoTrionfano sul bene,E anch’io stesso brancoloIn questo cruento duello:Finché questa rude terra avràUna bell’azione umana:Non indosso ancora abito neroE faccio festa per il credo.Finché avrò lacrime, sangue,Finché avrò respiro:Spero sempre il beneE piangerò il male!Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarrKosztolányi Dezső (1885-1936)BOLDOG, SZOMORÚ DALVan már kenyerem, borom is van,van gyermekem és feleségem.Szívem minek is szomorítsam?Van mindig elég eleségem.Van kertem, a kertre rogyó fáksuttogva hajolnak utamra,és benn a dió, mogyoró, mákterhétől öregbül a kamra.Van egyszerű, jó takaróm is,telefonom, úti bőröndöm,van jó-szivű jót-akaróm is,Dezső Kosztolányi (1885-1936)PAGO, TRISTE CANTOHo già pane, ho vino pure,ho prole e anche coniuge.Perché affliggere mio cuore?Ho sempre qualcosa da sfamarmi.Ho giardino, addosso alberi piegatisi chinano frusciando sulla mia viae dentro la dispensa s’avanza negli anniche è piena di noci, avellane, papaveri.Ho anche una semplice, buona coltre,un telefono, un bagaglio per viaggiare.Ho anche un benefattore di buon cuores nem kell kegyekért könyörögnöm.Nem többet az egykori köd-kép,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200915
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