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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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dell’epoca (Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, AntonioLoschi, Pier Paolo Vergerio, Francesco Zabarella,Branda Castiglione e numerosi altri ancora) vennero incontatto con una nutrita delegazione magiara; dopoCostanza numerosi dotti italiani entrarono al servizio diSigismondo e si stabilirono in Ungheria. Oltre alVergerio, troviamo infatti alla sua corte il cardinaleBranda Castiglione (1350-1443) dottore in utroqueiure, incaricato dal papa di fondare un’università aÓbuda, Ambrogio Traversari (1386-1439), monacocamaldolese e grecista, e Francesco Filelfo (1398-1481), che aveva appreso il greco da GiovanniCrisolora, nipote di Manuele, e ne aveva sposata lafiglia Teodora. Non va dimenticata a questo proposito lafigura del fiorentino Filippo Scolari, cugino del vescovodi Várad, già sopra accennato Andrea, che fu sì uneccellente amministratore, politico, diplomatico estratega militare, ma anche un insigne patrono dellearti e instancabile mecenate, che fece venire inUngheria e lavorare al suo servizio artisti comeMasolino da Panicale e Manette Ammannatini, fu incontatto con Poggio Bracciolini, collaborò col cardinaleBranda e legò il proprio nome e il proprio patrimonioalla costruzione d’importanti edifici e operearchitettoniche (un castello a Ozora, un ospedale aLippa, l’Oratorio degli Scolari agli Angeli a Firenze, tantoper citarne alcune).Come detto, la cultura umanistica e rinascimentalegiunse in Ungheria ai fasti della gloria durante lasplendida età corviniana. Nella cancelleria di MattiaCorvino rifiorì l’antica tradizione unnica, cui sirivolgevano gli umanisti magiari come in Italia gliumanisti italiani si rivolgevano alla Roma delle guerrepuniche e a quella imperiale. Mattia Corvino fu salutatoda cortigiani e scrittori come il novello Attila,ovviamente non quello della tradizione latino-cristianapresentato come il flagellum Dei, avido e sanguinario,bensì come quello della tradizione barbarico-germanicache venne per lo più identificato con un monarcapotente, giusto, generoso e benevolo. Il mito di Attila fusfruttato per il rafforzamento del centralismo corvinianoin funzione antimagnatizia. Era stato il protonotaroJános Thuróczy,a denominare Mattia Corvino il ‘secondoAttila’ nella sua Chronica Hungarorum, pubblicata aBrno nel 1488. E l’ascolano Antonio Bonfini (1434-1503), vissuto, egli pure come il Thuróczy alla corte diMattia e infatuato anche lui del grande sovranoungherese, dedicò quasi metà della sua operastoriografica Rerum Hungaricarum Decades quattuorall’epoca corviniana scrivendo nella prefazione cheriporta la dedica al re d’Ungheria e di Boemia VladislaoII Jagellone: “Nam Hunnorum Historiam, quiUngarorum fuere progenitores, a Matthia rege mihidelegatam, et paulo ante eius obitum initam, utconscriberem, ab origineque mundi ad haec usquetempera, quaecumque memoratu digna intercessere,memoriae traderem, iussu tuo factum est “.Antonio Bonfini mette in evidenza nella sua opera laferrea disciplina della famosa ‘Armata Nera’ di re Mattia,e al pari degli altri umanisti alla corte del Corvino s’eraformato un giudizio sull’Ungheria basandosi sullaconsapevolezza che gli ungheresi stessi avevanod’essere il ‘baluardo della cristianità, concetto ch’eranato al tempo dell’invasione mongola, era statocodificato per la prima volta nei documenti dellacancelleria del re magiaro Vladislao I Jagellone (1440-44) e s’era rapidamente diffuso in tutta Europa tramitele lettere papali e gli scritti degli umanisti. Gli umanistiitaliani considerano quindi gli ungheresi come unpopolo guerriero, valoroso e tenace, ne apprezzano levirtù militari, li vedono fieri della loro fama guerriera,messa ormai al servizio della cristianità e della culturaeuropea: tali appaiono negli aneddoti di GaleottoMarzio, nelle considerazioni politiche di AurelioBrandolini Lippo, negli epigrammi di Ugolino da Vieri enelle ‘lodi militari’ di Mattia Corvino di AlessandroCortese e di Ludovico Carbone.In genere, gli umanisti consideravano barbari tutti ipopoli d’Oltralpe; perciò essi si ritenevano investiti dellamissione d’incivilire quei popoli e di temperarel’asprezza della loro vita. Gli ungheresi rappresentavanoperò un’eccezione tra i popoli ‘barbari’ d’Oltralpe; per ilBonfini i magiari s’erano infatti spogliati della loro‘barbarie scitica’ grazie alla gloria acquisita con ladisciplina militare e la conseguente nobiltà. Inoltre nonsi poteva prescindere dagli strettissimi rapportiintercorsi tra l’Ungheria o meglio tra l’antica Pannonia el’Impero Romano e dal fatto che la Transilvania stessaera abitata da genti che parlavano una lingua neolatina.Perciò secondo gli umanisti italiani non dovevameravigliare il fatto che gli ungheresi fossero portatialla cultura.Gli ungheresi identificavano le virtù naturali conquelle cavalleresche, che conferivano all’uomo ‘nobiltà’e quindi ‘umanità’, cioè dignità; per loro infattil’umanesimo era considerato identico alla nobiltà.L’acquisizione della nobiltà veniva interpretata allastregua del risultato d’una selezione sociale, mentre lasua perdita significava la perdita dell’onore edell’umanità. Tale criterio divenne infatti caratteristicodell’umanesimo ungherese. Ciò corrispondeva proprio altemperamento del popolo magiaro portato all’azione eall’osservanza delle leggi dello stato, caratteristica chegià l’imperatore romano d’Oriente Leone VI il Saggio(886-912) aveva evidenziato nella sua Tattica di guerra[XVIII, 58].Anche Filippo Buonaccorsi soggiacque al mito e alfascino di Mattia. Il Buonaccorsi (San Gimignano 1437 –Cracovia 1496), aggregato all’accademia di PomponioLeto col nome di Callimaco Esperiente, era statocostretto ad emigrare all’estero essendo stato implicatonella congiura ordita contro il papa Paolo II; rifugiatesiin Polonia nel 1470, divenne precettore dei figli del reCasimiro IV, poi suo segretario e quindi consigliere delsuo successore Jan Olbracht salendo alfine alle più altecariche dello stato. Nominato ambasciatore per contodel re di Polonia alla corte del Corvino negli anni 1483-84, anziché convincere il sovrano magiaro a mutare lapropria politica espansionistica, rimase invece colpitosia dalle sue capacità politiche, sia dalla splendidacultura umanistica che fioriva alla sua corte. Nell’Attilainfatti, il Buonaccorsi descrive il re degli unni come ilmonarca perfetto, che tra l’altro vedeva incarnatoproprio in Mattia Corvino; egli anticipa quindi ilMachiavelli nella diffusione nell’Europa centrale delladottrina del ‘Principe’. Così da propugnatore e difensoredegli ideali di libertà e di democrazia della szlachta,Callimaco Esponente sarebbe ben presto passato nella<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200963

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