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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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udì la voce non di un poeta, ma di un vates che sipresentava al popolo con il suo canto…”.Orazio conosce Virgilio e gli diviene subito amico: “Essiavevano del resto gusti uguali: né all’uno né all’altropiacevano i poeti che affettavano l’antico; e a questinon piacevano essi, come è naturale”. L’idea diun’amicizia intima fra Orazio e Virgilio contro i comuniantagonisti letterari stuzzicava il sentimento e lafantasia del Pascoli, al quale sembrava in tal modo disentirseli più vicini: “Io gioisco di cogliere, sebbene daun’infinita distanza, una qualche parola tra i conversaridei due massimi poeti romani. Non parlavano essi deiloro disegni? Non leggevano a vicenda i loro tentativi?Non si ispiravano l’uno dall’altro? Vergilio imitava daTeocrito la Pharmaceutria: Orazio pensava anch’essouna scena di sortilegi, ma cittadinesca, tragica. Vergilioabbozzava parlando, o leggeva abbozzato, l’idilliocampestre del secondo libro delle Georgiche, e Oraziofaceva anch’esso quasi in parodia il suo bozzettocampagnolo, ma in persona di uno strozzino: idilliocomico”.Così, risaltando quelle caratteristiche che dei dueantichi poeti più amava, il Pascoli ha fatto un soloquadro, anche se con qualche forzatura, tipo il“bozzetto campagnolo” di Orazio (l’epodo II) che hacome protagonista lo strozzino… Ma troppo gliaggradava l’idea di una stretta fraternità d’arte e di vitatra i due poeti augustei, e così l’ha voluta vedererealizzata. In tal modo, il Pascoli critico e filologo vieneincontro al Pascoli poeta nelle sue predilezioni. Unesempio: nel ritratto ideale di Orazio, non faceva bellafigura l’episodio della fuga durante la battaglia di Filippi,dopo aver abbandonato lo scudo (la non bene relictaparmula dell’ode II 7). Ed ecco che il Pascoli, nel suocommento all’ode, è pronto a dimostrare che quel sensifugam vuol dire “provai le amare conseguenze dellafuga” e che parmula è uguale per metonimia adequitatus; pertanto relicta parmula significherebbe“lasciata sola la cavalleria”…; e il diminutivo parmulapotrebbe alludere a quel pugno di “prodi disgraziati” trai quali figurava anche il tribunus militum Orazio. Indefinitiva, non è Orazio che è scappato abbandonandolo scudo, ma è stato lui, tra quel pugno di “prodidisgraziati”, che è stato abbandonato non bene dallacavalleria! Così, grazie all’abilità del critico-filologo, lamacchia è tolta, l’onore del Venosino è salvo ed ilPascoli poeta è soddisfatto!Il Pascoli sentiva Orazio vicino per la pensosa intimitàsugli eterni problemi della vita e sul suo fineultimo. L’aderenza al pensiero oraziano è chiara neltono, nel senso profondo dei commenti a quelle odidove più risalta il doloroso problema esistenziale: sidirebbe che egli vi esponga il suo stesso pensiero,come nel riassunto dell’ode I 18: “Hai misurato la terra,il mare, l’arena” – grida il navigante al sapiente Archita– Ed eccoti qui mezzo sepolto sul lido di Matinata. Nonti giova esserti spinto sino al cielo: eri mortale.Morirono anche altri che più da presso toccarono gli dèie il cielo: morì anche Pythagora che credeva che lamorte non avesse da aver possanza se non sopra il suocorpo. E, tu lo sai, egli era bene addentro nei segretidella natura. Dobbiamo morir tutti (…), vecchi, giovani,tutti. (…) Non giova la scienza, non giova ribellarsi colpensiero al destino comune: tutti dobbiamo morire”.Oppure nell’introduzione all’ode I 34: Orazio è rimastostupito e pensoso per un fulmine a ciel sereno. È un dioche lo scaglia? E che intenzioni ha? “Mistero” – rispondeil Pascoli – “Salvo è il reo, colpito l’innocente? Nonsappiamo nulla: vediamo soltanto: mutamenti repentini,inesplicabili, fulmini veramente a ciel sereno. E l’uomo,nel tremore di tutta la natura, deve tremare anch’esso,non deve arrischiarsi a spiegare ciò che non puòspiegare, deve chiamare insania la sua sapientia”. Quic’è già in nuce tutto il Pascoli “cosmico” dei Canti diCastelvecchio, il cantore del mistero dell’universo!In fondo ad ogni gioia, anche a quella così luminosa diuna nuova primavera, c’è – oscuro e cupo – il pensierodella morte: ed il consiglio che Orazio, pieno ditristezza, dà a Torquato nell’ode IV 7, ha una profondarisonanza nell’animo pascoliano: “La neve dimoiò,rinverzica il campo, rimette l’albero, e i fiumi scorrononel loro letto. È un danzare di Grazie e di Ninfe… mabada: questo avvicendarsi di stagioni ti dice che seimortale. Ora il freddo è cessato, alla primavera segueperò l’estate, all’estate l’autunno e poi… i brevi dìdell’inverno. Passano i mesi, la luna si oscura esparisce: ma pur ritorna: noi, quando siamo andatilaggiù dove tutti devono andare, siamo polvere edombra. Chi sa se la vita nostra finora vissuta avràancora un domani?” Chi è che si pone questointerrogativo angosciante? L’antico od il nuovo poeta? Ilpensiero oraziano è tutto dominato dalla duranecessitas della morte, anche se il poeta sembrasorridere e godere delle gioie della vita. Lo segue neilieti convivii, nelle vicende amorose, persino neltranquillo riposo della vita agreste. Ed è lo stessopensiero che dòmina anche l’animo del Pascoli, che loesprime in tutte le sue opere, dalle prime Myricae(1891, l’anno stesso in cui inizia la stesura di Lyra e incui vince per la prima volta il Certamen Hoefftianumcon il poemetto Veianius) in avanti. Lo esprime in versimirabili (magistralmente tradotti in prosa dallo stessoAutore), nella lingua medesima di Orazio, nel poemettoSermo, composto al tempo in cui esce Lyra (1895) e poiincluso nei Poematia et epigrammata. È un dubbio chenon lascia requie. Orazio tenta di liberarsene invitandoLydia incoronata di rose a godere l’attimo fuggente (ilceleberrimo carpe diem dell’ode I 11); il Pascoli ci invitaad andare incontro alla morte abituandoci al pensierodi essa un poco tutti i giorni: così impareremo a nontemerla! Ma se le vie sono diverse, si sente che identicoè il punto di arrivo: in fondo al nappo di Orazio non c’èla dimenticanza ma il dolore; ed il consiglio del Pascolinon tende certo a familiarizzare con la morte, ma arendere più sopportabile la vita, dominata dal dolore.Ed il dolore è il filo rosso che lega fraternamente ilPascoli a Virgilio. Il Mantovano ha un posto diprotagonista assoluto nella successiva antologia, Epos(Giusti, Livorno, 1897), in cui il Pascoli commenta dapar suo quasi tutta l’Eneide. “Ci sono racconti, nei suntidell’Eneide, che sembrano myricae, poemetti, inni…”:così scrive con affetto Manara Valgimigli nellapresentazione di una ristampa che negli anni CinquantaLa Nuova Italia fece delle due antologie. Ma già ilCarducci in persona, in una lettera del 24 novembre1896, avendo letto la prima stesura di Epos, avevaindirizzato una lettera di ringraziamento al suo Autore:“Caro Pascoli…, tu mi hai fatto sentire e gustare Virgilio72<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009

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