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Arcipelago Itaca 7

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Su Carbon copy [Cc] e EN<br />

Nel film La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock lo spettatore sperimenta insieme al protagonista il panico e l’impotenza di essere testimone di<br />

un delitto di cui non si hanno le prove. Carbon Copy […] genera nel lettore lo stesso senso di impotenza e voyeurismo coatto trasportato dallo<br />

schermo cinematografico a quello del personal computer. Nel lessico informatico, infatti, la copia carbone è un messaggio inoltrato a un altro<br />

soggetto, reso testimone di una comunicazione in cui non è attivamente partecipe. Chi riceve la copia del messaggio è a conoscenza solo<br />

dell’identità di chi lo invia e di chi lo riceve ma è impossibilitato ad accedere alle risposte pervenute al mittente.<br />

…in questo libro ci si trova involontariamente implicati in una triangolazione comunicativa dove però la comunicazione si svolge a senso unico e<br />

prende forma di monologo: l’io-mittente e il tu-destinatario non si scambiano mai. Anche se trasposta in termini informatici questa è la<br />

condizione che da Petrarca in poi, caratterizza la forma lirica, con la differenza che mentre nel Canzoniere la morte di Laura è funzionale - e<br />

fictionale - alla creazione della persona poetica (ma lo stesso si potrebbe forse dire del Montale di Satura che si rivolge a Mosca) nel caso di<br />

Mariangela Guàtteri il «morto colle sue carni fresche» che apre la raccolta, oggetto delle violenze e forse dell’omicidio in cui il soggetto risulta<br />

implicato, non è occasione della scrittura ma verifica della possibilità stessa della dizione: «ne cavo una / 44 Magnum / e mi ispeziono la gola».<br />

È infatti il corpo-cadavere a ridisegnare gli oggetti domestici (tavoli, letti, stoviglie… una vasca da bagno che diventa scena dell’assassinio di<br />

Marat) ridefinendo la dicibilità stessa dello spazio/stanza - stanza come unità poetica luogo del darsi intermittente della parola. Proprio sul<br />

concetto di interruzione si struttura l’intera raccolta: sia a livello del racconto interno, che procede per continue cesure e censure, creando<br />

un’atmosfera da “scena del Crimine” con relativa indagine poliziesca in cui emergono inquietanti indizi; sia a livello formale, nell’uso di una<br />

sintassi che procede per blocchi, a volte evidenziati anche graficamente, spesso acefali o monchi di complemento e in una versificazione che<br />

alterna verso lungo e brevissimo, quest’ultimo vòlto ad interrompere - di parola-verso in parola-verso - il ritmo della lettura. L’interruzione<br />

domina inoltre il piano tematico, non solo in quanto figura dell’evento Assoluto (la morte che campeggia al centro di questa raccolta) ma anche<br />

perché è di «sentimenti / interrotti» che qui si parla, di una separazione, di una «partizione» che intacca corporalmente vittima e carnefice,<br />

totalmente intercambiabili nei loro ruoli: «con gli amanti si gioca / alle prede a turno». La stessa separazione che esperisce il lettore lasciato<br />

solo davanti alla testimonianza di una relazione («associazione a delinquere» erotica e comunicativa) a cui deve tentare di accedere («provaci<br />

tu a farmi un elenco di keywords»), colmando lacune e sondandone la verità, proprio perché il messaggio che gli perviene, non è autentico, ma<br />

una copia oscura: copia carbone.<br />

In queste poesie (che l’autrice insiste a chiamare “cose”) qualsiasi residuo lirico, emotivo, e sentimentale, viene dissolto dalla messa in dubbio<br />

dell’autenticità stessa del messaggio che comporta l’interrogarsi sulla verità del soggetto, ridotto a oggetto d’indagine. Ciò è confermato anche<br />

dalla forte tensione autoptica di questa scrittura, che forse richiama proprio per l’immediato collegamento anatomico tra io e corpo gli esiti<br />

poetici più recenti di Florinda Fusco ed Elisa Biagini. Se con quest’ultima possono risultare comuni il sezionarsi anatomico di un corpo<br />

sottoposto a uno sguardo freddo e crudele e il richiamo a un universo chiusissimo, perimentrato dai confini della casa, Mariangela Guàtteri si<br />

distacca completamente da qualsiasi dimensione domestica che serva a ridefinire un immaginario femminile: lo spazio della casa è vissuto solo<br />

come «accampamento / fantasma delle cose / da fare», che esclude qualsiasi attività prettamente femminile («è vietato / l’accesso / ai ferri da<br />

maglia / n° 5») o domestica («mangio vivo il cibo dal frigo») fino al limite della noncuranza («le finestre / piene di foglie e di mosche»). Anche il<br />

gesto simbolico del cucire, tentativo fallimentare di riparare la partizione, l’interruzione tra i corpi, avviene con mezzi assolutamente sganciati<br />

da qualsiasi immaginario femminile: una cucitrice, una saldatrice… Non si tratta infatti di definire una nuova identità del soggetto ma di<br />

abbassarne la definizione, di sgranarne la consistenza («io che mi dissolvo / nel monoblocco bianco»), di sviare le tracce dell’io e delle sue<br />

violenze: «e i / broccoli freschi / sciolti // si sventrano / sulle piastrelle / cotte / fatte a mano // feroci / per tutto questo / sangue raccolto / e<br />

sigillato / nei tapper». La freddezza dello sguardo che osserva e spartisce gli spazi, gli oggetti e i corpi, memore degli esiti più crudeli della<br />

poesia<br />

Mariangela<br />

Guàtteri<br />

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