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Arcipelago Itaca 7

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SOLO INEDITI<br />

Da<br />

Tutto<br />

il tempo<br />

di Giovanni<br />

Commare<br />

189<br />

dighe di assi tavole e sacchetti per tentare di dare riparo ai loro beni. Spesso inutilmente. L’acqua melmosa è<br />

negli scantinati, nei locali, nelle stanze.<br />

La tettoia della fermata degli autobus in piazza Politeama è però un riparo ancora sufficiente. Aspetto<br />

Letizia. Arriva in ritardo, così posso osservarla mentre attraversa tutta nera la piazza, percorre con passo<br />

lento i marciapiedi ed evita con scarti le pozze più profonde, anche se i suoi stivali alti sopra il ginocchio<br />

sembrerebbero adatti alla piena di un fiume. «Per intonarmi a te,» le dico «mi sono messo il vecchio<br />

montgomery».<br />

Letizia mi guida verso il bar all'angolo della piazza dove tutti la conoscono e la salutano. A tutti mi<br />

presenta. Le fa piacere stare con me. Me lo dice mentre ci sediamo a un tavolo e ordina due cappuccini.<br />

Sotto il cappotto ha una maglia anch'essa nera con grande scollatura a V e un top trasparente, nero, e<br />

fuseaux neri. Labbra e unghie viola. E per ornamento tanta chincaglieria metallica da aprirci un commercio di<br />

bijou. Certo non vuole passare inosservata. Desidera raccontare e racconta di nuovo la sua storia. Comincia<br />

con voce piana e calda, esibendo fogli dipinti, decorati, bruciati, fogli di lettere bucati dalle sigarette. Gioca<br />

con una fantasia di autodistruzione. «Ancora questa storia? Ma lascia perdere. Andiamo,» le dico «andiamo a<br />

vivere».<br />

Quando siamo fuori mi lascio portare. Letizia guida in scioltezza un’Alfa d’annata. «È di mia madre,» ci<br />

tiene a dire «io non posseggo nulla». Conosce tanti locali ma poi mi conduce al centro sociale di Ballarò dove<br />

ci dovrebbe essere l'incontro con un romanziere. Non c'è nulla, a parte il solito bar, la solita birra, il solito<br />

fumo. Solo tanto fango in più, a inzaccherarmi le scarpe e i pantaloni. Con il suo armamentario Letizia si lascia<br />

guardare. C'è un ceffo che la riconosce. Letizia lo allontana, «Vedi che sono in compagnia».<br />

«Un altro sballato che mi sbava dietro» commenta.<br />

«Quasi ne sono geloso» dico. «Ce ne possiamo andare».<br />

Ora Letizia si sente padrona della situazione e mi porta a spasso. Sceglie un locale che sembra la stiva<br />

d'una nave, abbandonata dall’equipaggio, perché ai tavoli non c’è nessuno. I baristi scrutano questa coppia<br />

curiosa, la ragazza dark e l'uomo col montgomery nero. Nella penombra di quel ventre di legno Letizia ordina<br />

il vino e prende le mie mani. L'attacco è sempre tragico, del genere amico scoppiato d'eroina, ma è di sé che<br />

vuole parlare. La storia con il tossico è il fantasma della libertà che lei rincorre impulsivamente per sfuggire<br />

all'ordine ossessivo della sua casa borghese.

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