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Arcipelago Itaca 7

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Piccola antologia della critica<br />

In Le mani e la follia lo scontro drammatico fra protagonista e società sfocia nella discesa del personaggio maschile verso una follia ora<br />

visionaria ora delirante; simbolo del sociale è la “strada”, attraversata da arcangeli, demoni frenetici e loro imperfetti umani facsimili; simbolo<br />

del protagonista le sue “mani”, che egli sempre si guarda come esercizio corroborante. Questo libretto, diario di un pellegrino sula strada della<br />

propria disintegrazione attraverso stretti corridoi della follia, ci si presenta come supplemento della rivista quadrimestrale “Con ciò sia cosa<br />

che”, dove lo stesso Ercolani, in un articolo dedicato ad Antonin Artaud, L’opera perfetta come sepolcro, colloca la scelta della follia da parte del<br />

poeta “al punto estremo di un discorso sulla parola”, in quanto la follia può essere “mezzo di disintegrazione e di ricreazione di una parolacadavere,<br />

parola che è solo pietrificazione e suicidio dell’uomo”. La follia, dunque, come carica al contempo negativa e positiva, pozzo senza<br />

fondo in cui scagliare qualcosa e attingerne il diverso; in altre parole, il tema della follia come scelta trasgressiva: e ancora una volta viene alla<br />

memoria l’ideologia eversiva che sta dietro la celebrazione del follus e della festa follorum nel XII secolo.<br />

Maria Corti, in “Alfabeta”, 1979, anno 1, n. 5<br />

* * *<br />

…rileggo ancora una volta le serie di poesie di Marco Ercolani dedicate a Velemir Chlebnikov e oltre a trovare conferma delle doti visionarie di<br />

questo giovane poeta genovese (irresistibile il collegamento con Dino Campana e la sua poesia Genova, tra le più importanti del ‘900 italiano),<br />

mi viene il sospetto che l’attenzione a un poeta di “radici storiche come Chlebnikov (intendo radici storiche trovate nella lingua) segnali la<br />

volontà di ritrovare, in Liguria, il senso di una storia mitica e di trasformare questa categoria del mitico in segnale di verità storica e geografica<br />

incancellabile.<br />

Antonio Porta, dalla Prefazione a Poeti in Liguria, 1981<br />

* * *<br />

Marco Ercolani ha fatto di tutto per depistare e spiazzare i critici rubricatori. Da quasi quindici anni occupa uno spazio decisamente inconsueto:<br />

la sua scrittura prevalente è in prosa ma una prosa non tanto narrativa quanto intima, una sorta di molteplice e cangiante Journal o Zibaldone<br />

(con la variante della lettera, negli ultimi tempi sempre più frequente). Tuttavia la misura di tale prosa non è mai autobiografica; essa crea una<br />

serie di maschere dell’io, capaci di scatenare una narrazione visionaria, tributaria però di una singolare chiarezza, che si deposita sulla figuralità<br />

della lingua, capace di suggerire nitidi fotogrammi visivi (il cinema e la pittura sono alimenti continui).<br />

In un suo volume di saggi, Il ritardo della caduta, Ercolani sostiene che “usare la parola è dimenticare il linguaggio, scrivendo come sonnambuli”<br />

e precisa “La poesia ruota attorno a questo nodo che è fuori dalla parola: immagine non verbale ma sonora, in parte visiva, segreta alla parola”.<br />

La ricerca di Ercolani e la sua dimensione tipicamente poetica (al di là delle apparenze narrative o aforistiche) sta proprio qui: spogliare la parola<br />

della sua forza semantica, sviluppando le sue valenze musicali e figurative. È tale dinamica a garantire il senso e la novità di questa<br />

particolarissima scrittura della visione, che continua a risarcire la propria oltranza. Davvero la cifra del sonnambulismo è efficace: si vive un’altra<br />

vita, ma nella dolcezza e nell’oblìo del sonno, piuttosto che nella lacerazione della veglia.<br />

[…] La variazione è un po’ la realtà storica di quest’opera che ruota attorno a precisi motivi ossessivi, dentro una scelta radicale di scrittura<br />

notturna e della follia, ben chiara dall’ur-Ercolani di Le mani e la follia (1979). I temi ossessivi costituiscono un chiaro sistema articolato a tre<br />

livelli. Da un lato abbiamo gli elementi di relazione: le mani, per il corpo, e le porte per gli oggetti; dall’altro i luoghi: la città, di perpetuo<br />

attraversamento e nomadismo ed il suo opposto, la stanza, il cui legame con il personaggio e l’io è sempre duplice, all’insegna sia della<br />

claustrofilia che della claustrofobia; infine le regressioni reificanti, il freddo e la pietra soprattutto, che sono il segreto desiderio di chi vede il<br />

respiro<br />

Marco<br />

Ercolani<br />

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