Arcipelago Itaca 7
Arcipelago Itaca 7
Arcipelago Itaca 7
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Piccola antologia della critica<br />
respiro (e con esso la vita) come continua perdita («Chi respira, in questa città, non riesce a ricordare»).<br />
[…] Il desiderio di reificazione credo sia motivato dal dominio della paura, che presiede all’opera di Ercolani. La paura si configura come paura di<br />
vivere con questo la paura di entrare nella dispersione; il desiderio di reificazione rappresenta il profondo desiderio di uscita dal vivente per<br />
rituffarsi nell’inorganico, che ha una duplice valenza di protezione e di immortalità<br />
[…] La svolta delle opere più recenti porta alla creazione di una letteratura apocrifa (I taccuini di Blok e le Vite dettate), il cui senso non sta in un<br />
labirintico raddoppiamento borgesiano, ma in una immedesimazione postuma che è, per ora, l’ultima declinazione del progetto reificante, che<br />
garantisce una maggior valenza comunicativa. L’apocrifo non è comunque l’unico presente di questa scrittura: essa si divide con il journal, che<br />
prosegue la voce demonica all’interno con oltranza imperativa, che ora non è più assoluta e infungibile; ha il suo contrappeso e contrappunto<br />
nella prosa saggistica dell’apocrifo, nel suo tono esterno e di supplica.<br />
Stefano Verdino, da Del sonnambulismo, in “Nuova Corrente”, Anno XL, 112, luglio-dicembre 1993<br />
* * *<br />
[…] …la singolarità di Ercolani resta indubbia, non soltanto per l’insistenza con cui egli si affida al procedimento dell’apocrifo - le Vite qui<br />
raccolte non sono che un’isola all’interno di un vasto arcipelago di testi analoghi, solo in piccola parte già editi in riviste o volumi -, sia per il<br />
carattere sostanzialmente «serio» del confronto che egli stabilisce con gli autori evocati. Basta leggere, in tal senso, la splendida difesa della<br />
scrittura apocrifa posta a conclusione del libro, ed attribuita a Ingeborg Bachmann, per vedere quanto impegnativa e vitale possa divenire<br />
questa pratica letteraria quando essa, attraverso «l’identificazione allucinatoria» con un personaggio vissuto, rappresenti la via per conseguire<br />
«una verità etica, un momento in cui il dire, simile al non-dire, espone con ardore il suo tormento» [2]. Questo approccio, che da un lettore<br />
distratto potrebbe essere tacciato di romanticismo, implica in realtà una riabilitazione della scrittura narrativa, che allontanandosi dalle forme<br />
correnti di vuoto calligrafismo o falsa naïveté (tenute artificialmente in vita da un’editoria sempre più miope e timorosa) torna a rivendicare la<br />
propria necessità e il proprio carattere vincolante.<br />
Una simile idea di letteratura, intesa non come ornamento ma come destino, funge anche da guida nella ricerca ercolaniana di quegli artisti del<br />
passato che, esplicitamente o implicitamente, sembrano averla condivisa. Di qui un rapporto con la tradizione che non ha nulla di compiaciuto<br />
o di museale, ma si dà come capace di ripensare, e dunque modificare, l’immagine del passato, negandone la compiutezza e riattualizzandone<br />
le possibilità inesperite. La scelta non cade dunque soltanto su quegli autori - da Kleist a Cézanne, da Artaud a Giacometti - la cui ossessione,<br />
lucida o folle, investe palesemente tanto la sfera dell’esistenza quanto quella dell’espressione artistica. Anche personaggi in apparenza ben più<br />
sobri e apollinei possono trovarsi chiamati a mostrare il loro volto più segreto: così Goethe acquista un reale interesse, per Ercolani, solo nel<br />
momento, ipotizzato, in cui allontana da sé la maschera «olimpica» e decide di dar voce ai propri dubbi sottaciuti e alle proprie predilezioni<br />
represse, mentre Hofmannsthal, posto di fronte ai quadri di Van Gogh, viene condotto ad abiurare la cristallina e rassicurante purezza della<br />
propria scrittura a favore di un’arte più coraggiosa e coinvolgente.<br />
Questi ultimi esempi si prestano ad evidenziare con particolare chiarezza il carattere costitutivamente anfibologico dell’apocrifia, la natura<br />
doppia e insidiosa di una tecnica che induce a «mettersi al posto dell’altro», per rendergli omaggio, per farlo rivivere, ma anche e<br />
contemporaneamente - lo si voglia o no - per espropriarne la parola, per annullarlo sostituendosi a lui. Chi pretendesse di imputare ciò allo<br />
scrittore di apocrifi avrebbe le sue ragioni, ma rischierebbe di dimenticare che un processo assai simile si ritrova, fra l’altro, in ogni atto critico.<br />
Inoltre il fatto di scrivere testi a nome di autori così numerosi e differenti non può non presupporre l’impulso a moltiplicare le occasioni di<br />
uscire da sé e dal proprio stile, a diffrangersi dunque idealmente in una pluralità di situazioni psicologiche e figure di linguaggio. Giacché<br />
Ercolani<br />
Marco<br />
Ercolani<br />
[2] Marco Ercolani,<br />
Vite dettate, Pavia,<br />
Liber, 1994, pp. 160-<br />
161.<br />
67