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Arcipelago Itaca 7

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«Mario Giacomelli, marchigiano, affettuoso "allievo" di Cavalli, si è costruito, nel panorama della fotografia mondiale, un'area di originalità e di indiscusso valore. Nella<br />

vastissima letteratura fotografica molti critici hanno autorevolmente voluto vedere nelle sue opere riflessi di "espressionismo figurativo”; hanno parlato di visione<br />

panteistica del reale o addirittura di autoanalisi in una sorta di rapporto freudiano terra madre-matrigna. Ritengo però che il miglior approccio alle fotografie che<br />

vengono proposte in questa mostra sia sgombrare la mente da schematismi intellettualistici e, dall'altra parte, guardarsi dal facile inganno della prima impressioneemozione.<br />

Vedere nelle vecchine dell'ospizio una denuncia sociale, lasciarsi impressionare dalle inquadrature del Sud, troppo spesso sacrario della retorica, o fermarsi<br />

alla suggestione visiva delle interpretazioni di Spoon River, significa tradire Giacomelli. Bisogna lasciar parlare l'immagine nella sua purezza; e allora i temi di quel<br />

mondo (che sono i temi della nostra storia: la natura, i malati, i pretini, i vecchi e gli innamorati) diranno la partecipazione appassionata dell'artista al dolore universale<br />

della vita. Ciò avviene ad esempio, in modo privilegiato nel paesaggio, dove la violenza del linguaggio degli alberi si tramuta in infinita tristezza. Lo stesso Giacomelli<br />

suggerisce una lettura del proprio rapporto con la natura, quando parla di quel paesaggio che ad ogni primavera rinasce, mentre l'uomo inesorabilmente muore ogni<br />

giorno. Ma anche quello che può apparire come il più spietato documentarismo si sposa, in una fusione perfetta, con la limpidezza dello stile, senza sbavature, senza<br />

sadismi, senza sentimentalismi. (…)».<br />

Mina Cavalli, invito alla mostra Mario Giacomelli, Lucera, 1982.<br />

* * *<br />

«Il fotografo di paesaggi ruvidi e puri, spogli di accenti naturalistici, con le loro incantate geometrie, la loro matericità così tipica dell'informale, il libero scoccare<br />

dell'energia, ma anche dell'angoscia nello spazio (…) senso fortissimo del livello sintattico della composizione (…) esigenza a far ricorso ad elementi puri, (…)<br />

conseguente vagheggiamento dell'Esprit de geometrie (…) bisogno di massima economicità. Tutte le fotografie di Giacomelli sono metafore, ariose, ma anche violente,<br />

di un racconto interiore. Come tali vanno lette: grafico di un paesaggio dell'anima, tormentato e appassionato. Nelle scabre campiture dei paesaggi illuminate da una<br />

forte accentuazione chiaroscurale è la stessa inquietudine interna, la stessa sottile disperazione ma anche la profonda "pietas" che rinveniamo nel bue scannato, nel<br />

volto rugoso di un vecchio, come nella solitudine di tre monachelle in riva al mare, e la struggente intimità di due innamorati. (…)».<br />

Michela Vanon, Mario Giacomelli. Sogni e incubi di un poeta, “Photo Italia”, 1984.<br />

* * *<br />

«Le fotografie vivono nel rapporto reciproco, nel loro ritmarsi in sequenza, con tensioni e torsioni che sono, per analogia, quelle del verso poetico. L’evocazione è<br />

l'altra dimensione di queste opere nelle quali qualsiasi immagine, con forza, denuncia il suo non esistere in quanto tale ma essere rimando ad altro, che è musicalità ed<br />

emozione. emozione. Giacomelli, in un certo senso, ha ottenuto il silenzio dell'immagine, ne ha distrutto la perentorietà, l'imporsi con<br />

la sua fisicità per trasformarla in allusione dinamica, denunciarne il suo carattere fenomenico. Diventando così, le sue<br />

immagini, eidetiche nel senso definito da Husserl di ciò che è al di là della percezione sensibile in quanto relativo alle<br />

essenze. Le fotografie non riprendono mai immagini provocate o presenti nelle poesie. Anche in questo caso le<br />

reinventano. Come non esistono immagini/simbolo, ma solo immagini/segno. La paratassi è ottenuta non con la ripetizione<br />

di un immagine chiave, ma ancora una volta per evocazione, per allusione.»<br />

Mario Giacomelli racconta: L'Infinito; Passato; Ninna Nanna, cat. Mostra Comune di Sorbolo e Associazione Camera Works,<br />

1991.<br />

* * *<br />

«…le fotografie di Giacomelli sono però lungi dall'essere semplici documenti. Egli fotografa e stampa con gran senso<br />

d'avventura, usando alto contrasto, composizioni inaspettate e altri espedienti per trasformare le sue immagini da semplici<br />

documenti in opere d'arte ricche ed evocative. A volte appare come se avesse gettato un velo magico sopra i suoi soggetti,<br />

producendo immagini che sembrano mescolare descrizione, memoria e sogno in parti uguali…».<br />

Charles Hagen, “The New York Times“, per la mostra alla James Danziger Gallery, 1993.

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