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Arcipelago Itaca 7

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Piccola antologia della critica<br />

All’inizio è la pagina bianca. Poi, quasi a precipizio, un’urgenza impone il suo ritmo, che è scandito in frammenti, schegge spesso fulminanti,<br />

lampi lapidari. Corteggia l’aforisma, ma non cede alla sua facilità; più ancora che l’aforisma l’obiettivo diventa il sigillo sapienziale. Una segreta<br />

conoscenza del nulla. Una “via segreta” del pensiero che, mentre cerca gli incontri col vocabolo, ne è aspirato. Occorre calcinare ogni scoria,<br />

non danzare sulla musica delle parole; qui è una corrente che trascina, come è detto nella poesia “Il folle volo”, e qui, ancora, non deve<br />

ingannare il senso, apparentemente paradossale, di quel verso decisivo «Il folle volo lo compiamo / nell’incantesimo dell’acqua ferma (…)».<br />

Gran parte, se non tutta, della scrittura di Marco Ercolani, anche quella che precede e affianca questi testi poetici, si può leggere nel senso di<br />

una brusca scossa all’apparenza delle cose del mondo, all’evidenza ordinaria. Cerco di sintetizzare così: come usare la finzione per dire la<br />

verità? I termini stessi di verità e finzione sono presi in un laccio inestricabile; interrogare questo koan, portarlo al limite è una passione del<br />

pensiero.<br />

E il centro di gravità di queste poesie si trova già nel titolo, in quell’opachi. Parola chiave, “opaco”, che voglio leggere come confine della luce,<br />

nostalgia della luce, quasi invocazione a un’idea di trasparenza. Nostalgia della luce. Già Gabriela Fantato, nella sua prefazione, parla (con più<br />

cautela) di «uno spiraglio di luce, una sorta di lievità (…)».<br />

La parola poetica di Ercolani recita, sapendo di recitare, il dramma della propria doppia natura, della trasparenza e della intrasparenza... Una<br />

parola che rompe la traccia facile, nasconde quel che vuol rivelare come una domanda che nasconde l’enigma. Il senso scivola, si perde, rinasce<br />

altro.<br />

Il diritto di essere opachi trascrive gli esiti di una discesa nella notte, ma di una notte che ha segreti e dunque pietà. Una discesa che ricorda il<br />

sogno lucido di una coscienza qui e là sonnambolica, testimone e spettatrice insieme di sortilegi, specchi inquietanti, turbamenti, cose<br />

notturne…<br />

Ma «il sogno / è già una sentenza», come ci ricorda Ercolani, così suggerendo un’altra chiave interpretativa della sua poetica.<br />

Il topos cruciale, il nodo di questa raccolta si può pensare nella figura di una clessidra, o meglio, nel suo punto di scorrimento, nella strozzatura<br />

(altra “via segreta”). Ai due lati, l’ombra e la luce, la forma e l’informe, lo scendere che è già salire. Da qui passa il singolare melos di questa<br />

poesia, dall’”armonia della vertigine”. Questo punto di capovolgimento è l’immagine ideale di una ricerca: non conta l’alto o il basso, quanto la<br />

profondità... Da un lato, il visibile, «questa luce verticale / dove tutti credono di muoversi», dall’altro, la cecità, il buio, la “finzione nella notte”<br />

che è finzione della notte. In fondo, per Ercolani, né l’uno né l’altro. L’ultimo imperativo che chiude la raccolta è potente: “Guarda”. È uno<br />

sguardo che oltrepassa la dimensione retinica, ha poco a che fare con l’ottica, piuttosto reclama una postura, una condizione, uno stato<br />

dell’essere.<br />

Dario Capello, nota su Il diritto di essere opachi<br />

* * *<br />

[…] Qui le visioni sono talmente vivide da domandarsi se non ci si trovi davanti un nuovo genere letterario, quello di una poesia nata nei mondi<br />

che altri autori su diversi versanti hanno dichiarato veri: Sturgeon, Van Vogt, Simak, il Ballard di Vermilion Sands. Avete capito a quale tipo di<br />

letteratura penso. Visioni cresciute direttamente nel lato sinistro dell’anima […] Ercolani ingaggia se stesso come se guardasse un altro, e lo<br />

seguisse nelle sue piste notturne, con forti e capaci affabulazioni. Non si sfugge alla sua ardua finitezza, e proprio nell’andare controcorrente<br />

scendiamo a capofitto e senza neppure pensare alla speranza […] Non lo vedo libro di speranza, questo - e chi ha detto che una raccolta poetica<br />

debba esserlo per forza? A me basta che un poeta, scrittore, creatore di mondi o pasticciere, mi diriga contro un dardo congegnato per farmi<br />

farmi<br />

Marco<br />

Ercolani<br />

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