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Arcipelago Itaca 7

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SOLO INEDITI<br />

Da<br />

Tutto<br />

il tempo<br />

di Giovanni<br />

Commare<br />

186<br />

«Devo andare,» dice all’improvviso «ma dobbiamo sentirci.»<br />

«Promesso.»<br />

Mi scrive sull'agenda indirizzo e telefono. È una via di Palermo, verso piazza Marina. E subito mi manca.<br />

Come se il suono di quella voce avesse trovato i suoi propri recettori nelle cellule del mio corpo. Sono già in<br />

crisi di astinenza. È andata via senza la madre. Così posso illudermi di tenermi in contatto con Sara, sentendo<br />

parlare di lei da quella chiacchierona. Di Pisa è la madre, mentre il padre è un avvocato palermitano, perciò<br />

hanno casa in città, anche se le due donne, fin dall’adolescenza di Sara hanno vissuto in Toscana, dato che i<br />

genitori erano e sono separati di fatto. Di quelle separazioni però che non lacerano mai del tutto i legami,<br />

anzi nel tempo li rafforzano, tanto che negli ultimi anni, da vecchi - si può dire -, prima che la tragedia<br />

colpisse la figlia, hanno vissuto insieme nelle due case, un po’ qui un po’ là. La quale tragedia - apprendo -<br />

non è roba di ieri, come mi sembrava di aver capito, ma di qualche anno fa. Solo che Sara non si è del tutto<br />

ripresa o - insinua con un filo di malignità - si è affezionata al nero perché le dona.<br />

La chiamo al numero che mi ha scritto sull’agenda. Risponde un’anonima segreteria telefonica. Provo e<br />

riprovo, giorni e giorni. Non c’è la voce di Sara. Irraggiungibile, come la felicità. Devo lasciar perdere, mi dico.<br />

Ho il lavoro da portare avanti.<br />

Sfogliando l'agenda ho trovato il foglietto delle poesie che Letizia mi ha portato quando è passata per gli<br />

auguri. È scritto con calligrafia microscopica, come fosse un messaggio segreto da far circolare tra carcerati o<br />

affiliati a una setta segreta. Vuole sapere che ne penso, in realtà desidera che quelle parole arrivino a me. In<br />

quelle parole domina l'angoscia più cupa che schiaccia il respiro. Si ripete l'immagine ossessiva della<br />

morticina, lei, e i ragni neri pelosi che le camminano sulla pancia, l'urlo mentre cerca di divincolarsi dalle reti,<br />

l'urlo che squarcia lo spazio e acuisce i sensi sino a un piacere doloroso. Da quest'orgasmo cifrato discendono<br />

immagini di luce, il sole innanzitutto, anche se dura solo un attimo.<br />

Allora, la chiamo. Pensate che sono uno che si contraddice? Avete ragione. Con una donna devo parlare.<br />

Questa è una voce ragazza.<br />

«Dài, vieni a trovarmi» l’imploro quasi.<br />

Quando le parlo del piacere doloroso e delle immagini solari che danno una prospettiva di speranza,

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