Arcipelago Itaca 7
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Inediti 2010 - 2011<br />
Marco<br />
Ercolani<br />
78<br />
Prose buie<br />
Prigionieri di Dionisio<br />
Perché urlare, battere le mani, parlare a voce alta? Non è l’eco che conta, dentro l’Orecchio di Dionisio, a Siracusa: è<br />
l’orecchio del tiranno, là sopra, capace di ascoltare il minimo bisbiglio. Per questo camminiamo nel buio dell’antro, suoi<br />
prigionieri; ci comunichiamo progetti di fuga con un cenno del capo, senza farci sentire; tracciamo sui palmi delle mani,<br />
come sordomuti, le vie che percorreremo per salvarci. La grotta in cui il re vorrebbe ascoltare le nostre voci è un grande<br />
antro pieno di silenzio da cui non verrà fuori nessun suono a smascherare i nostri sogni sotterranei. Sorridiamo appena.<br />
Perché urlare o battere le mani o parlare a voce alta? Uscire dall’antro: quello è il nostro solo progetto, racconta ai<br />
compagni di prigionia.<br />
Quando scende la notte<br />
Leggere quando scende la notte, mentre non si sa per quanto tempo saranno visibili le parole. I libri diventano allarmanti,<br />
imprecisi, oscuri, come certi vasi attici dove sono disegnati corpi neri di tuffatori e che, al mattino, col sorgere del sole,<br />
appaiono vuoti e bianchi, come se quei corpi non fossero mai esistiti. Si intravede, imprecisa e sinuosa nella ceramica scura,<br />
una crepa. Si continua a leggere il buio.<br />
Il bel colore bianco<br />
Una sete insopportabile. Deve arrivare a casa. Ecco sua moglie e suo figlio, così gli hanno detto. Sono immobili sulla soglia.<br />
Se almeno avesse ricordato i loro nomi! Se almeno ricordasse i loro nomi! Sa che sono loro e sorride. Ha visto subito i loro<br />
occhi allibiti. Un precipizio da cui fuggire. Fuggire subito. Ora è più calmo. Ora sa come liberarsi di se stesso senza l’orrore di<br />
farlo, senza mettere in piedi una scena spaventosa e ridicola. Non tollera il fracasso delle ossa, l’immagine penosa del corpo<br />
mutilato. Sangue ovunque, grumi neri, gente inorridita. Tornerà alla terra.<br />
Basterà scivolare nella neve, a notte alta, e sprofondare appena, non per caso ma con intenzione, una vaga intenzione<br />
animale. A trentasette anni immergere i piedi nella neve altissima, passo dopo passo, in stati sempre più profondi, finché<br />
diventerà impossibile sollevare la gamba destra e allora, gli aghi di ghiaccio sulla fronte, le mani congelate, i piedi assiderati,<br />
il torace chiuso, potrò rendere i pensieri più lenti, più vicini al loro centro, quello che rifiuta la presenza del corpo, le<br />
strategie della mente, il calore delle emozioni, quello che nega tutto ma non il bianco, non il bel colore bianco che si<br />
deposita adesso su di lui e lo rende inesistente, invisibile, fermo. Assoluto, come non poteva esserlo prima. E bere, bere<br />
tutta l’acqua contenuta nella neve.