Arcipelago Itaca 7
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Piccola antologia della critica<br />
traduttore dal francese (e ci basti ricordare la sua dedizione per Artaud e Michaux), ma voglio citare anche, tra le opere più recenti, la prosa<br />
visionaria de Il demone accanto, dove Marco - attraverso un dialogo fitto, stralunato e acuminato con il suo daimon, di antica memoria<br />
socratica - si interroga sulla scrittura e sull’ispirazione. A mio parere è stato, questo “esercizio di intensità”, maturato nel tempo, coltivato<br />
attraverso le proprie diverse prove d'autore, oltre che nella vita e nella lettura degli autori amati, che ha “alimentato” la specifica scrittura<br />
critica di questo critico-funambolo che ci regala ora un libro che sa scendere dentro la parola poetica, andando oltre la parola stessa, tanto da<br />
farci scorgere come questa via di conoscenza, esperienza e scrittura che è la poesia sia tragica antitesi, spesso non condivisa, a qualsiasi forma<br />
di pienezza, a qualsiasi certezza o verità statica, poiché la poesia è un inesausto cercare di afferrare, torcere, modificare e testimoniare il<br />
mondo visto-percepito in quello «strabismo dello sguardo» che segna ogni artista, ogni poeta e, tuttavia, solo se la “vertigine” di fronte al reale<br />
si compone in “misura”, si fa “architettura” in un linguaggio che è ritmo, suono e senso, diventa poesia, altrimenti resta esperienza dello<br />
scacco, urlo senza forma, senza possibilità di ascolto.<br />
Gabriela Fantato, da Quando il pensiero fa un balzo, presentazione a Vertigine e misura<br />
* * *<br />
Il cinema è un mondo fatto di ombre. Una notte nella quale si muovono figure, corpi disegnati da una luce di cui non si riesce a comprendere<br />
l’origine, né la natura. È un mondo dalle dimensioni e dai ritmi fuori dall’ordinario: la mano, il volto di una donna occupano tutto lo spazio<br />
davanti a noi, i giorni e gli anni hanno la durata di una dissolvenza. È un luogo che diviene possibile solo nel buio che ci circonda, che costruisce<br />
trame, vite e destini a volte del tutto simili, altre volte nemmeno avvicinabili a quelli che definiamo “reali”. Per queste ragioni le sequenze<br />
proiettate sullo schermo sono state frequentemente paragonate al sogno, alle immagini prodotte dall’inconscio, come se là, in fondo alla sala,<br />
si mostrassero le pieghe, forse le piaghe di un’anima. Lo si ricorda anche qui, in A schermo nero, è una delle prime avvertenze che ci pone di<br />
fronte la scrittura di Ercolani: «Il meccanismo con cui si crea l’immagine, nel cinema, richiama il lavoro dello spirito durante il sonno. Il buio che<br />
invade a poco a poco la sala equivale all’azione di chiudere gli occhi. È allora che comincia sullo schermo l’incursione notturna dell’inconscio; le<br />
immagini, come nel sogno, appaiono e scompaiono».<br />
A schermo nero si presenta come una appassionata riflessione sul cinema, come un vero e proprio atto d’amore per le storie, i personaggi, gli<br />
attori e gli autori del mondo di celluloide. Si tratta di una raccolta di una cinquantina di testi: essi presentano una notevole varietà di forme,<br />
assumendo le caratteristiche di una confessione, di un’intervista, di una lettera, di un diario, di una manciata di pensieri, di riflessioni intime,<br />
oscillando tra la modalità dei frammenti o di appunti sparsi a quella più strutturata di un commento, o addirittura di un lessico. Pagine che si<br />
presentano come occasionali, recuperate tardivamente, casualmente riemerse. Quasi a volersi muovere ai margini delle storie e degli eventi<br />
raccontati sullo schermo, in una zona sotterranea, nascosta, ma proprio per questo imprevedibile e rivelatrice.<br />
Di chi sono le voci che raccontano, annotano osservazioni critiche, progettano nuove opere, ricordano una vita ormai alle spalle, come una<br />
storia a cui restano pochi metri di pellicola prima della parola fine? Sono quelle di registi, attori e attrici, controfigure, sceneggiatori, produttori,<br />
direttori della fotografia. Ciò che però unisce le parole che prendono forma in questi testi è il fatto di non essere mai state pronunciate - anche<br />
se non mancano, qua e là, delle eccezioni - dalle persone a cui sono attribuite, di non essere mai state scritte dalla loro mano. Ercolani infatti<br />
realizza, con A schermo nero, dopo Vite dettate, Lezioni di eresia, Carte false, Discorso contro la morte, dopo i volumi dedicati a Blok e a Bruno<br />
Schulz (ma l’elenco è incompleto), un nuovo libro di apocrifi, o meglio di testi che si presentano sotto la forma dell’effetto di apocrifo:<br />
sottoscritti da Abbas Kiarostami o da Maurice Kosinski, da William Daniels o da Dulton Trumbo, da Jean Renoir o Fritz Lang, ma di cui risulta poi<br />
del<br />
Marco<br />
Ercolani<br />
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