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Arcipelago Itaca 7

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Su Sòta la guaza<br />

addentellati di territorio: è in qualche modo possibile circoscrivere in una precisa area di Santarcangelo la matrice linguistica, la delimitazione di<br />

una couche geoantropologica, che sta ab origine di questa esperienza. Alcune grandi vicende poetiche ci ricordano che l’aver delimitato e<br />

focalizzato il proprio sguardo su uno specifico orizzonte fisico, tematico, affettivo, immaginativo, ontologico, ha significato delineare una<br />

autenticità di dire irredimibile nello stigma della propria unicità: da Giovanni Pascoli a Biagio Marin e Albino Pierro, da Tonino Guerra a Andrea<br />

Zanzotto, da Tolmino Baldassari a Attilio Bertolucci e a Umberto Piersanti, ma anche in due relativamente giovani neodialettali come Ivan Crico<br />

e Fabio Franzin, per stare a nomi a noi prossimi, in cui un sentimento precipuo dell’essere dentro il paesaggio e dentro una storia di civiltà e<br />

natura, assume una valenza eminentemente destinale, non già nel senso di una Historisch, bensì in una più intima e decisiva Geschichtlich.<br />

Le radici popolari e rurali, ràdghi, parola chiave dell’autrice, danno motivo della natura di questa poesia: sobria e raccolta, dove la discrezione<br />

più che l’allusività, ha la tonalità di una lancinante mitezza, quando ad esempio affronta l’amore, e dove la grazia è dolente, e il dolore è<br />

composto, affidato a immagini concrete, efficaci nella loro ispida nudità: un fas ad spóin (un fascio di spine), o dove anche la contentezza è a<br />

metà, cuntantèza a mità. È una poesia di dolcezze contenute e acuminate, come spesso in Giuliana Rocchi, ma come pure in una tutta al<br />

femminile grande triade neodialettale di riferimento: Franca Grisoni, Ida Vallerugo e Assunta Finiguerra, e i cui campi tematici delimitati vanno<br />

dal femminile al domestico-rurale con una campionatura di lessico in frequenza che comprende: lanzùl (lenzuolo), dòta (dote), curòid (corredi),<br />

cantòun d’un zinalòun (lembo di grembiule), ghéffal ad lèna (gomitoli di lana), férr instécc (ferri infilzati), mulèti (mollette), tacapàn<br />

(attaccapanni), armèri (armadio), scaràna (sedia), màchina da cusói (macchina da cucire), stóvva a cherosene (stufa), furminènt (fiammifero),<br />

chèsa (casa), capàn (capanno). Anche la religiosità, attesta origini popolari, come le anziane che recitano il rosario, la coròuna, grèdi di cunsinèri<br />

(grate di confessionali), il cristico fas ad spóin (fascio di spine), Nadèl (Natale), mirécal (miracolo), campani (campane), campsènt (cimiteri).<br />

Così, pure nella strumentazione retorica appare evidente l’originaria matrice popolare, chiaramente di oralità, eppure di eco sacroscritturale,<br />

nel frequente ricorso a figure di ripetizione, parallelismi e similitudini, che ne rappresentano un tratto distintivo della quiddità o stile.<br />

Similitudini spesso afferenti a campi semantici di natura e di paesaggio: ‘una come la luna’, ‘come foglie sopra il viale’, ‘come quando piove’,<br />

‘come la strada di un pomeriggio’, ‘come uno di quei pali alle bocche di ponte’, ‘come neve sopra la tua faccia’, ‘attaccapanni simili a uccelli’ (il<br />

lettore perdoni qui e sotto le citazioni in traduzione, dovute a esigenze di praticità).<br />

Accanto alla domestica e alla religiosa, una terza coordinata fondamentale o invariante afferisce al campo semantico della natura, nelle sue<br />

varie opzioni: vegetale, animale, esistenziale, atmosferica. Teodorani, annota Civitareale, «si ispira al ritmo delle stagioni, al dinamismo dei<br />

fenomeni naturali» (op.cit.); letta in questa ottica, i riferimenti ideali a una tradizione romagnola che vede in Aldo Spallicci il cantore di un<br />

mondo creaturale osservato nel trascorrere dei giorni, dei mesi, delle stagioni, e a lei più attiguo, per sensibilità e più contemporaneo gusto di<br />

rastremazione e contrizione della effusività lirica, la poesia di Tolmino Baldassari, per una poetica di contenuto stupore nell’osservazione del<br />

cosmo. Ecco allora i richiami frequenti al mare, ora mér, ora maròina, alla montagna, muntàgna e mòunt, cielo, zìl, terra, tèra, luna, léuna, sole,<br />

sòul, o i molti richiami a eventi atmosferici: vento, pioggia, neve, buio, luce, notte, fuochi, tuoni o nominazione di eventi e occasioni: mattina<br />

presto, matóina prèst, pomeriggio, dopmezdè, novembre, nuvèmbri, Natale, Nadèl, fino alla nominazione botanica di piante frutti, o di parte di<br />

essi: cipressi, arcipréss, quercia, arvùra, fiore, fiòur, girasoli, giraséul, foglie di radicchio, fòi di radécc, mandarino, mandaròin, germogli, zarmòi,<br />

scorza, scórza, radici, ràdghi, resina, résna, miele, mél. O i riferimenti al mondo animale e creaturale: uccelli da nido, uccelli, pettirosso, falene,<br />

vongola, tartarughe.<br />

Eppure, a ben leggere, il lettore noterà, quanto il richiamo alla natura e al paesaggio, sia lontano da un gusto prezioso di certa lirica dialettale<br />

un po’ arretrata, o dalla oleografia di un paesaggio o contrada tradizionale. Nella Teodorani, l’osservazione del paesaggio e della comunità<br />

rinvia sempre a una dinamica esistenziale, «sotto cui vibra un pensiero tattile, olfattivo, nel significato letterale, di senso attivo, vibratile a<br />

cogliere”<br />

Annalisa<br />

Teodorani<br />

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