Arcipelago Itaca 7

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Da La chèrta da zugh (La carta da gioco), 2004 Annalisa Teodorani 164 E' nòn Ad léu u m tòurna in amént al méni gràndi, pini ad caramèli e la voita l'éra dòulza mo me a ne savòiva a cridèvva m'al foli e ma che patàca de mi fradàl ch'u m gévva: «L'òs-cia la sa ad frèvla!» LA CARTA DA GIOCO Era così sottile / che pareva una carta da gioco / nella foto, un poster… / E lui è andato via / con lei tra le dita / che pareva uno di questi prestigiatori / che si vedono in tivù. IL NONNO Di lui / mi tornano in mente le mani grandi, piene di caramelle / e la vita era dolce / ma io non me ne accorgevo / credevo alle fiabe / e a quello sciocco di mio fratello che mi diceva: / «L’ostia sa di fragola!» La chèrta da zugh La éra acsè stòila ch'la parévva una chèrta da zugh tal foto, un poster... E léu l'è andè vì sa lii tra 'l dòidi ch'e' parévva éun ad chi prestigiatéur ch'i s vòid in tivù.
Su Par senza gnént e La chèrta da zugh […] Par senza gnént nell’ambito del “fare” è locuzione che può significare sia senza pretendere alcunché sia inutilmente, vanamente ed evidenzia la predilezione per il gioco dei rimandi, l’ironia, la sottile compiacenza per tutto ciò che attinge al circuito delle valenze multiple e quindi delle ambiguità che è uno degli “stratagemmi” del suo [di Annalisa Teodorani] fare poetico […] In questa raccolta, con una pronuncia personalissima e un originale registro linguistico, l’autrice viene a confermare, per dirla con Brevini, «la tendenza della poesia contemporanea a risalire in un regressus dal macro al micro, non soltanto dalle koinai regionali e dalle parlate municipali agli idiomi periferici, ma addirittura dal dialetto all’idioletto». […] A cifrare la qualità dei suoi testi, concorre … in vasta misura, tutta una serie di meccanismi che i linguisti chiamano “figure”. Da quelle di costruzione: ellissi, apposizioni, zeugmi; a quelle di elocuzione: allitterazioni, asindeti; da quelle di stile: enfasi, perifrasi; a quelle di significato o tropi: metonimie, metafore, sineddochi, ecc. Mentre sul piano strutturale, vediamo che la sua poesia si realizza fuori da qualsiasi gabbia metrica e quindi in versi sciolti di sostenuta intonazione lirica. […] La sua è una poesia dell’ascolto: Acsè e’ témp dla nòta / l’è tótt un ciacarè lizir (Così il tempo della notte / è tutto un parlottio leggero); Pu un tóun, cmè una bómba in piaza, / l’à smòs cl’aria indurmenta (Poi un tuono, come una bomba in piazza / ha smosso quell’aria assopita) … […] Poesia dell’ascolto, si è detto, ma anche attenta ai piccoli gesti, ai moti minimali delle cose e dell’animo. Infatti l’area semantica cui rinviano i materiali lessicali di Annalisa Teodorani è quella riconducibile alle piccole esperienze personali dove le istanze conoscitive sono inscindibili da quelle esistenziali. […] Se è vero che, come osserva Pasolini, «I pallori, gli éclats improvvisi, le ambigue sordità, le rozzezze, i cipigli di una parlata portata d’un tratto alla “luce della parola”, non possono non suggestionare», la Teodorani non sembra volersi gingillare attorno alle facili suggestioni esercitate dall’“intraducibilità” del dialetto. Anzi! Il suo discorso poetico si annuncia con tratti che si potrebbero chiamare di “elementarietà”, che fornisce alle parole la giusta chiarità; che proviene dalla semplicità di un dettato, dalla moderata densità degli assunti, e soprattutto dalla caparbietà con la quale rifugge da qualsiasi forma di vernacolarismo. […] Gianni Fucci, dall’introduzione a Par senza gnént * * * […] La novità è quella di una poesia dialettale santarcangiolese […] che spunta imprevista e forse anche inattesa a due o tre generazioni di distanza dalla incredibile fioritura (incredibile perché avvenuta in tempi e spazi così ristretti) di talenti come Baldini e Guerra e Pedretti, fino a Giuliana Rocchi e Gianni Fucci. Ci si poteva aspettare che dopo di loro più nulla, o quasi, riuscisse a farsi sentire; che tutto il possibile fosse esaurito con loro […] Il mistero è quello di una voce di giovanissima donna, la quale si affida al dialetto in tempi di accelerato disfacimento della cultura della parola (parlata e tanto più se scritta) a vantaggio di una comunicazione fatta di segni, gesti, suoni, immagini, colori, monosillabi, la quale tocca e trascina soprattutto i più giovani […] e dunque in tempi in cui il dialetto patisce ancora una volta la precarietà del suo destino. […] Forse qualche spiegazione alla novità e al mistero di Annalisa Teodorani è data appunto [e anche] dai versi … nei quali l’insipida pochezza della lingua viene contrapposta al vigore comunicativo del dialetto, che è tale da farsi scegliere da chi è in cerca di un linguaggio (un modo, un lessico, un codice) adatto alla propria poesia, una lingua che lo coinvolge intero […]. Pare dunque che la voce del “poeta” possa veramente esprimersi soltanto nel codice linguistico che condivide con la “zénta” in quanto egli stesso ne è parte, per nascita, orizzonte, cultura, intendimento di vita e di mondo; che il dialetto abbia insomma, per chi lo sceglie per la propria scrittura, una sorta di intraducibile unicità. D’altra parte fu Walter Galli, in una lettera ad Annalisa del 23 febbraio 1999, a scrivere: «La nostra lingua [il dialetto] Annalisa Teodorani 165
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