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Arcipelago Itaca 7

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Su Sòta la guaza<br />

“O’ vést che t’avivi ti occ una<br />

févra lizìra”<br />

(Giuliana Rocchi)<br />

Nell’arco di un decennio, o poco più, 1999-2010, la giovanissima Annalisa Teodorani, nata a Rimini nel 1978 e naturalizzata a Santarcangelo di<br />

Romagna, lontana dai clamori delle grandi vie della comunicazione letteraria, ma nell’alveo fecondo di una delle grandi couches della poesia<br />

mondiale, e oltremodo seguita affettuosamente da lettori di rango (Andrea Brigliadori, Caterina Camporesi, Franco Casadei, Pietro Civitareale,<br />

Narda Fattori, Gianni Fucci, Gianfranco Lauretano, Gianfranco Miro Gori), dal suo laboratorio appartato e molto discreto sulle opere e i giorni,<br />

ha prodotto e percorso, con l’attuale, tre raccolte di versi dal «timbro riconoscibile e distintivo» (sono parole di Narda Fattori che appaiono<br />

nella nota in retrocopertina a Par senza gnént): il momento, credo, è opportuno per un consuntivo o per una lettura d’insieme.<br />

Anche Sòta la guàza, Sotto la rugiada, come le precedenti raccolte, Par senza gnént, Per nulla (introduzione di Gianni Fucci, nota in<br />

retrocopertina di Narda Fattori, Luisè Editore, Rimini 1999) e La chèrta da zugh, La carta da gioco (presentazione di Andrea Brigliadori,<br />

postfazione di Narda Fattori, Il Ponte Vecchio, Cesena 2004) colpisce per l’esiguità del numero dei testi: nel primo libro 30, nel secondo 28, e in<br />

questo, 25; una vena apparentemente parsimoniosa e parca, ma pure una tenacia e una tenuta notevoli; e, per inciso, la parsimonia è persino<br />

nella scelta dei titoli che ricade in tutti e tre i casi sugli enunciati di componimenti eponimi. Leggo infatti le tre suites come parte di un tutto,<br />

tappe perimetrali e significative della caparbia edificazione di un possibile canzoniere; unius libri, di esistenza, di luoghi, di natura, e d’amore. A<br />

proposito, vale la pena riportare le affermazioni di uno dei più accreditati studiosi dei neodialettali romagnoli: «La Teodorani esprime una<br />

radicale e radicata fedeltà ad un sistema di vita improntato alla semplicità, dettato dai sentimenti ed ubbidiente a se stesso, nei termini di un<br />

linguaggio coerente nei suoi stilemi, con un contesto culturale consolidato, refrattario a certe contaminazioni neologistiche e a forzature<br />

sintattiche» (Cfr. Pietro Civitareale, in Poeti in romagnolo nel secondo Novecento, La Mandragora, Imola 2005, pp.106-108; argomentazioni<br />

riprese in, Poeti in romagnolo del Novecento, a cura di Pietro Civitareale, Confine, Roma 2006, pp. 17-18).<br />

Un elemento di coesione è dato dalla formularità dei testi: in ognuna delle tre raccolte, ad esempio, l’ultima composizione si riconnette con la<br />

prima per corrispondenza lessicale, per una immagine, o tropo. Nel primo libro, è il caso di un animale e di una immagine metaforica: nel testo<br />

ancillare si tratta di una ‘gattina’, ‘un gomitolo di pelo rossiccio’, che ritroviamo nell’ultimo testo trasmutati rispettivamente in un ‘gatto nero’ e<br />

nella metafora ‘un gomitolo di sogni’; mentre nel libro successivo, ricorre nel primo testo la metafora del ‘filo di mare’ ripresa nell’ultimo, dove<br />

si fa ‘filo lucente’. Parimenti, ora, il lettore di Sòta la guàza, potrà constatare l’assoluta corrispondenza stabilita tra il primo e l’ultimo testo: in<br />

questo caso, tuttavia, con uno scarto rispetto ai precedenti, la corrispondenza viene data non già dal lessico in frequenza bensì dall’orizzonte di<br />

riferimento: il primo testo Al zéi, Le zie, si apre con la metafora del ‘buio della vita’, oscurità che nell’ultimo, Murt, I morti, sta nella sinonimia<br />

della privazione della possibilità di vedere lontano, unitamente a una associazione o accostamento tra vecchiaia e fine della vita, con<br />

l’immagine delle anziane zie intente a recitare il rosario e quella conclusiva della sedia che prende la forma dei pensieri, sedia come correlativo<br />

oggettivo di una condizione. La curiosità del lettore, almeno questo è un auspicio, farà sì che questi possa scoprire, sotto la «apparente dimessa<br />

veste lessicale» (Cfr. Gianni Fucci, introduzione a Par senza gnènt, cit.), una fitta trama di riferimenti e di coordinate testuali e tematiche<br />

ricorrenti.<br />

All’esiguità del numero dei testi, di cui sopra, corrisponde pure la brevità: composizioni in versi ipometri e informali o liberi, divincolati dalla<br />

metrica e da esigenze di rima o musicalità; non di rado i testi sono singoli, castigatissimi versi-frasi monorematiche, o distici, mentre rarissimi<br />

(3, in tutta la produzione) quelli che sforano la pagina. Come per i versi e per la lunghezza, così per l’aggettivazione, mai in eccesso, e ridotta<br />

all’essenziale.<br />

Annalisa<br />

Teodorani<br />

174

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