Arcipelago Itaca 7
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Su Due dimensioni<br />
[…] …sentiamo Guàtteri limitrofa allo sguardo cristallino di Giovenale. La sua è una chirurgia delle superfici, della vista visibile e netta, è mossa<br />
da una passione dell’intelligenza, se intelligenza è vedere quanto è fuori di noi, accorgersi di un altro. Dunque nel fatto stesso di “vedere tutto”<br />
sta la compassione. Quella di Guàtteri è la simulazione di un elenco melancholico di io - o eteronimi piuttosto malconci. I volti dei suoi<br />
protagonisti appaiono - da una abbagliante cecità contemporanea e circostante - specchiati sulla lama di un bisturi. Questo perché, con<br />
Giovenale, Guàtteri non adopera la sofferenza per fare poesia, ma ne installa sulla scena della pagina una esposizione allegorica statica, sospesa<br />
nel moto immoto delle opere di Duchamp. Ostensioni di cose comuni le quali, poi che vengono poste “fuori luogo”, fuori dal luogo fluido della<br />
vita vera, sono esposte a contatto diretto con l’immaginario. […] Guàtteri ha … pudore e carità, fa dell’ospedale un museo, per dirne bene la<br />
distanza apparente, dove vengono “esposte” le paure - il seppellimento da vivi, il contagio del corpo di terra - le pulsioni e gli effetti dei<br />
“farmaci” - appunto - nei circuiti venosi e reattivi. Museo sì, l’ospedale, ma anche grande corpo labirintico, dirotto e bianco: colonizzato e<br />
pervaso, agitato da installazioni interne che, sebbene in stallo, compiono i moti circolari, palindromi e ossessi delle guerre di trincea. Linee,<br />
scavi, cave di terra pieni di uomini spesso emaciati. I malati non sono dignitosi e umbratili come quelli di Anedda, sono una desolata carne che<br />
si spegne e dimena, sono carne priva, corpi in battaglia che denutriscono sotto deangelisiane cartine mute (nella Cartina muta di Milo De<br />
Angelis la coppia entra in una farmacia alla periferia di Milano dopo che il tempo è tutto passato, dopo che è ormai accaduto ogni rimpianto).<br />
Questo è quello che la poetessa vede nell’avanzare e retrocedere e avanzare ancora dei degenti lungo i corridoi, un circolare appunto circolare,<br />
una deambulazione fredda, fissata nella costante della paura, fino alla marcia indietro verso un punto di fuga che è l’ingresso: nell’ambulatorio,<br />
nella corsia e nella sua straniante dimensione escheriana. L’ospedale è così: corpo-museo-di-corpi, corpo-cava-di-terra-con-soldati, corpoentomologo<br />
e insieme corpo-insetto - e fatto in particelle, stringhe, numeri e tranci - ma soprattutto e comunque e ovunque: mortale. Così<br />
comincia Guàtteri: a che giova la lotta contro il male, a che giova la cura, se comunque…. Eppure qui non si manifesta lacrimazione alcuna,<br />
bensì un fortissimo senso del destino: i testimoni - tutti sembrano essere testimoni di se stessi - sono anche incarnazioni di un abbandono<br />
ontologico. Questo luogo è un disperso frammento di pianeta, che obliquamente ci riassume tutti, riassume la somma teorica delle nostre<br />
ombre quando il sole va giù e le fa lunghissime.<br />
Desideriamo aggiungere, a conclusione, che abbiamo voluto menzionare due artisti visivi come Escher e Duchamp perché riteniamo che tutte<br />
le parole di Mariangela Guàtteri siano guidate dal senso superiore della vista. Lo sono per i temi, certamente, ma anche per la forma con la<br />
quale vengono deposte sul foglio […] e infine perché, fin dagli esordi, Guàtteri muove la propria opera in una zona liminare tra la poesia e video<br />
nei quali le parole sono tutte staccate e mescolate ad altrettanti oggetti freddi - luci al neon, ingranaggi, giunture robotiche in movimento e<br />
voci artificiali (mentre le fotografie di Giovenale sono archeologia di uno sfacelo ancora umano). Nei video di Guàtteri non c’è quasi più carne e<br />
non c’è sangue, siamo in una sorta di Tetsuo (l’uomo-macchina del regista giapponese Shinya Tsukamoto) raggelato dall’essere incruento.<br />
Fermissima la tenuta della ragione. Fermissima la mano e la parola, linea così sottile da diventare chimica. Ma pur sempre di chimica organica<br />
stiamo parlando, pur sempre di una terza dimensione di verticalità, tanto più viva perché più rimossa, tanto più cocente perché<br />
apparentemente rinunciata. Fin che si scrive non esiste scomparsa veramente avvenuta: nonostante i segni meno, le sottrazioni, le denutrizioni<br />
e tutta la raggiera dei mancamenti.<br />
Maria Grazia Calandrone, in “Poesia” n. 269 (commento ad una selezione di testi inediti tratti da Due dimensioni) -<br />
[http://www.mariagraziacalandrone.it/attivitacritica/?magazine=poesia_marzo_2012]<br />
Mariangela<br />
Guàtteri<br />
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