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Arcipelago Itaca 7

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Dalle opere di narrativa<br />

Marco<br />

Ercolani<br />

48<br />

cose, erodi la materia, assorbi i colori. Vivi a Genova come il nomade che all'improvviso è diventato statua di<br />

pietra e, da pietra, canta l’impossibilità di continuare il suo viaggio. Una volta ti dissero: siamo tutti più<br />

trasparenti dopo l'esperienza sofferta, ma perché dobbiamo pagare un prezzo così alto per ottenere la<br />

leggerezza? Il tuo prezzo è la nicchia nel muro: leggera e instabile, la parete ti chiude dentro di sé ma ti<br />

permette di salire e scendere la scala impossibile per migliaia di volte. Le città sono psicotiche o nevrotiche:<br />

ad esempio, Siena è psicotica, segreta, curva, tortuosa, labirintica, ostile agli intrusi, chiusa nel suo ordine<br />

malioso e avvolgente, con quell'unico centro che risucchia come un vortice; Palermo è nevrotica, orizzontale,<br />

discontinua, frammentaria, visibile, rumorosa, silenziosa, monumentale.<br />

Ma Genova? Da questa postazione privilegiata - prigioniero del muro - la vivi come una città border-line,<br />

sospesa fra psicosi e nevrosi. Città gelosa, fortificata nelle sue difese, intima ma non inaccessibile, aperta al<br />

mare, aspra, ambigua, sonora, rischiosa. Città adatta ai nomadi e agli ossessivi. Nicchia per poeti, dove stare<br />

dentro pareti a sognare, ma pareti circondate dall'aria, che non formano una stanza chiusa ma un luogo<br />

forato dei venti. Città per chi cerca un'idea da nutrire in segreto, fingendo di essere solo. Ma i prigionieri delle<br />

pareti sanno che le pareti ospitano una moltitudine di vivi e di morti, che pensa e ripensa lo stesso sogno.<br />

Folle silenziose, ricordando la vita e presentendo la morte, regnano dentro i muri. All'alba e al tramonto,<br />

nella scala e nel muro, ospiti e abitanti, senza parlarsi, lasciano tracce nell'aria, simili a voci.<br />

Sempre lo stesso suono<br />

Sempre lo stesso suono, acuto e puerile. Quasi che annunci qualcuno. Ma chi doveva salire è già salito. Sono<br />

io. Ti ascolto, ti tengo stretto. Ti sento muovere e parlare, nel sonno, finché vado via. So quando resti solo.<br />

Un sibilo lieve, qualche luce dalla strada, un terrazzo che brucia. Ecco i segni. Non mi vedi più.<br />

Ma ogni volta ritorno. In autobus, quando esci, i ragazzi ti respirano addosso; ti sbriciolano il pane sui calzoni.<br />

Ho pietà di te. Chiacchierano, gridano, esistono. Un essere dagli occhi vuoti sfoglia il giornale. Ti rendi conto.<br />

Devi tornare a casa. Devi dormire. Senza di me le voci sono prevedibili, sono di tutti e di nessuno, sono una<br />

folla neutra che non odora di nulla, una folla anonima e consenziente, una massa senza ombre.<br />

L'aroma del caffè. Io lo sento con te. Io: i tuoi sensi, la tua lingua. Non puoi che berlo con me - è nero,<br />

profumato, caldo. Il caffè: le tenebre. Notte dopo notte sollevi la mano, ti tocchi il viso, ricomponi i lineamenti<br />

devastati dal giorno. Approfitti del buio per questa opera di pietà, che il giorno non ti consente, che io ti<br />

impongo. Stupendo nome Subrahmanian Chandrasekhar - lo leggi, in qualche libro, come una rivelazione. È il

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