Arcipelago Itaca 7
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Su Carbon copy [Cc] e EN<br />
poesia di Antonio Porta, non ha più nulla di umano e si esercita in maniera asettica e anestetizzata («se non sento più niente / l’anestesia si è /<br />
autoprodotta»). L’occhio spalancato di questi versi è infatti una «telecamera / blindata» che procede per «flussi che restano interrotti», per<br />
frames apparentemente statici che ricordano le immagini deformate degli apparati di video-sorveglianza, la fissità discontinua di un occhiowebcam,<br />
o la bassa definizione di una video-sonda che penetra sin dentro al corpo per giungere a dare «uno sguardo / allo stomaco». Tutta la<br />
raccolta è pervasa dall’idea di un’introiezione orale dello sguardo che arriva a confondere esterno ed interno e concorre a creare l’inquietante<br />
stato di low definition del reale che percorre questi testi. Mariangela Guàtteri, infatti, attraverso una scrittura asciutta, quasi allucinata nella sua<br />
precisione, toglie «le targhe dei nomi» creando qualcosa di molto simile a una realtà non ancora compiutamente reale. In essa, il soggetto<br />
nasconde le sue tracce, le sue impronte e la scrittura si fa «testimonianza d’assenze»: restano solo piste, solo indizi. L’io che scrive sembra<br />
letteralmente “farsi fuori”, quasi fuoriuscisse dallo spazio/stanza man mano che procede il suo tentativo di “far fuori” il tu. Ciò avviene<br />
principalmente attraverso una ricognizione chirurgica del proprio corpo alla ricerca della parola che lo abita («lascia che il corpo parli / che il<br />
ventre risponda alla lingua») e che ne riveli il destino («alluci / lobi / che mi dicono se / ucciderò mai qualcuno»). Gli inesausti esercizi di<br />
dissezione anatomica, la continua notomizzazione che il soggetto compie sul proprio corpo vivo, verificano la possibilità di resistenza a un<br />
crimine che avviene in realtà dentro di esso, perché corporalmente interna è l’alterità a cui si rivolge: «e io sono / con te dentro il corpo».<br />
Questa consapevolezza solleva solo parzialmente il lettore dal felice senso di apnea che sperimenta di fronte all’incisività di questi versi: quasi la<br />
sua impotente postazione di testimone lo rendesse complice del «disagio / metodico / osservato»: la scrittura.<br />
Gian Maria Annovi, da [Fwd: No Subject], prefazione a Carbon copy [Cc]<br />
* * *<br />
[…] La spina dorsale dell’intera raccolta […], il nerbo […] filosofico è semplice quanto inquietante: ricondurre alla fisiologia del corpo amano, alle<br />
leggi fisiche basilari del moto, le dinamiche più contorte dell’anima bagnata di solitudine o arsa di passione. Il tentativo ambizioso non cerca<br />
normalizzazioni o spiegazioni scientifiche, solo un sano e necessario ridimensionamento. E un abbraccio voluttuoso quanto irrimandabile tra il<br />
corpo e lo spirito… […].<br />
Cristian Sesena, da Carbon copy libro a-morale, in “La gazzetta di Reggio”, agosto 2005<br />
* * *<br />
•Uscito nella bella collana della casa editrice d’If i miosotis, EN di Mariangela Guàtteri fa l’effetto di un monolito in un paesaggio urbano. Una<br />
costruzione liscia e imprendibile, perfettamente autosoddisfatta e inattaccabile. Che cos’è EN? È un poema amoroso, enigmatico e preciso che,<br />
anche graficamente, alterna zone di pensiero dense, grumose ad improvvise ellissi dove i testi si appoggiano magri. Il vertice emotivo del libro,<br />
a me sembra, è il testo Tum-tum, una poesia dal tono crudamente colloquiale, dai versi lunghi, che illumina magnificamente quel nodo di carne<br />
e sangue, di dolcezza anche violenta, che è il nucleo dell’ispirazione della Guàtteri: «Tramuto, mentre ti tengo il polso come / impugnando un<br />
coltello; mi apro i pori, uno ad / uno. Tu entri e la tua voce mi sostiene la spina / dorsale, mi sollecita il muscolo del cuore». È in queste pagine<br />
che in maniera quasi cristallina la Guàtteri ci permette di penetrare nell’officina della sua riflessione con affondi come «Mi si spalanca un<br />
tempio e una cripta, piena di / colonne, ai piedi. Il luogo del nostro rito dove / offriamo noi stesse a noi stesse e il tempo storico / inizia a<br />
sparire». Una poesia del tempo congelato e della crisi che vive nel fuoco del presente e che seziona senza pietà e rimorso parti della realtà fino<br />
a ridurre il campo a due persone, e poi con sempre maggiore estremismo solo cicatrici, pori, lembi, tagli che formano ritratti e connotati umani.<br />
Fabio Orrico, in “ScrittInediti.it”, agosto 2009<br />
Mariangela<br />
Guàtteri<br />
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