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Arcipelago Itaca 7

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Piccola antologia della critica<br />

[…] I nostri giorni, scriveva Franz Kafka, sono un «essere abbagliati dalla verità». Abbagliati, mentre si arranca su una corda tesa che ha nome<br />

“vita” e, al pari di quella del funambolo nicciano, non offre alcuna via di fuga. «Paura della pazzia, paura della non-pazzia», tertium non datur.<br />

Ma di vero, in questa soglia che appare prossima alla “frontiera infernale” del vivere e della poesia, non rimane che la luce. Quella luce che -<br />

ancora Kafka - si intravede «sul volto di chi arretra, con una smorfia di dolore».<br />

Di questa luce, Marco Ercolani e Lucetta Frisa, corresponsabili e complici di una sfida caparbia e delicata, rendono a pieno l’essenza. Raccolgono<br />

storie di follia ormai troppo ordinaria, fatti che non fanno cronaca, cronache che non fanno Storia, e li rielaborano, li illuminano, li rivalorizzano<br />

nella sola scena entro la quale ogni contraddizione abbia davvero facoltà e diritto di estinguersi: la scrittura […].<br />

Marco Dotti, dalla prefazione ad Anime strane<br />

* * *<br />

Nel lavoro di scrittura … Ercolani e Frisa perseguono invece una semantica dell’abbandono. Le voci raccolte da Ercolani e trascritte e riscritte in<br />

questo libro insieme a Frisa provengono da un buio profondo, e riportano alla luce una antica dignità offuscata. Queste voci significano.<br />

Producono segni che si manifestano. […] Ercolani e Frisa hanno dovuto attraversare, inevitabilmente, il sublime poetico della follia, che in<br />

Anime strane reclamava i suoi diritti sottilmente e gentilmente. Ora il demone parla, non si limita più a suggerire. Le voci, e le voci di “coloro<br />

che sentono le voci”, questa volta parlano in prima persona. […]. Il loro non è né sciacallaggio letterario né documentarismo tecnico-scientifico<br />

con velleità letterarie. Si tratta … di una scrittura necessaria, di un atto dovuto e in risposta a un obbligo, non solo di testimonianza, quanto di<br />

un riconoscimento della potenza dirompente della vita e dell’arte che, come ormai sappiamo grazie a Dubuffet, è lì dove non sospetteremmo<br />

mai che sia. Il valore di quest’opera, in un’accezione molto più ampia, quindi, del suo senso letterario, è attestato dal pudore del terapeutascrittore<br />

e dal bisogno di ricorrere alla collaborazione di una poetessa per maneggiare questo materiale magmatico che non si raffredda mai,<br />

un pudore onestamente dichiarato e la cui soglia è necessario sia superata per compiere legittimamente un lavoro come quello che viene qui<br />

presentato. Storie eccentriche, inclassificabili, la cui divulgazione è resa possibile dalla certezza che, senza un narratore, sarebbero sprofondate<br />

nell’«oltraggio del silenzio», vengono così alla luce.<br />

In questo lavoro c’è la realtà. Quella vera. La realtà parla. Ma è una realtà consapevole, in qualche modo - e, soprattutto, in qualsiasi modo - dei<br />

propri confini. Ecco perché questo libro si può usare in diversi modi. Come l’I Ching, si può prendere a sorte una pagina, e quella pagina ci<br />

rimarrà appiccicata addosso. Ma la voce non ci dirà il futuro. Ci può dire di un presente dilatato sino all’estremo, a ricoprire passato e futuro in<br />

un abbraccio asfissiante, un presente che ci è comune, a tutti, nel quale, tutti, siamo. Oppure si può farne un uso alla Jodorowsky, come se<br />

fossero tarocchi - una pagina una carta - e chiedere agli arcani. Allora le voci parlerebbero, ancora una volta, di noi stessi, di un’umanità<br />

occupata a sbranare e divorare il tempo, a tracciare parabole nei cieli e aprire sentieri nel divenire. Ne andrebbe fatto un uso sociale, letto nei<br />

salotti … , di sera, al posto del rito catodico-plasmatico. Un uso rituale, sì, ormai quasi inesorabilmente perduto ogni respiro che possa dirsi tale,<br />

non mancando a queste pagine un certo arreton, né mistero, né una dimensione, se non mitica, per lo meno archetipica.<br />

E invece, piccole epifanie si manifestano al momento di voltare ogni pagina. Ogni voce che parla strappa il fondale del palco … […]. Gli squarci al<br />

fondale dipinto rivelano mattoni, cemento, ferro, e, al di là dell’inorganico, materia vivente e pulsante che per un istante si avvicina alla visione<br />

estrema della vita, e un attimo dopo ce ne allontana, di colpo. Barlumi. Lampi dal temporale nella notte della vita.<br />

Niente di queste parole proferite dalle voci raccolte con pietosa cura da Ercolani e Frisa ci è estraneo. Ne siamo coinvolti. Come spiegare<br />

altrimenti quello sbigottimento, quella sospensione a ogni pagina voltata, che ci impediscono di usare questo libro come una lettura lineare e<br />

letteraria? La ragione abita da un’altra parte. Abbiamo torto. Abbiamo tutti torto. Le voci ci abitano, pervadono tutti i recessi lasciati deserti da<br />

una<br />

Marco<br />

Ercolani<br />

72

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