Arcipelago Itaca 7
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Piccola antologia della critica<br />
Ercolani sottoscriverebbe senza esitare l’affermazione di Canetti secondo cui: «Nessuno resiste senza vite prestate, la nostra vita non ci basta»<br />
[3]. […]<br />
Giuseppe Zuccarino, da Destini d’artista, prefazione a Vite dettate<br />
* * *<br />
Tra Michaux, Duchamp, Borges (e un po’ di Canetti) si inserisce una tua particolare cifra che denota, oltre la fantastica acquisizione del testo<br />
come oggetto energeticamente esistente al di là, o al di qua, di ogni (non) necessaria testimonianza, una intensa proposta di analisi e<br />
conoscenza. Voglio dire che, dimostrandosi gli apocrifi introvabili per loro stessa natura, ma veri in quanto storicamente collocati nel tempo e<br />
nella vita di personaggi realmente esistiti, il piacere della loro invenzione si pone come proposta critica di acutissima rivelazione. Così si rivivono<br />
opere e giorni di grandi fantasmi, cogliendone (secondo la valenza di ogni pregnante operazione critica) una verità da vivere più vera della vita<br />
assoluta.<br />
Gio Ferri, da una corrispondenza privata dell’8 maggio 1995<br />
* * *<br />
Una serie di vite immaginarie, di artisti e scrittori, colti in un punto preciso della loro vita psichica e artistica, sulla soglia di un cambiamento, nel<br />
punto in cui l’esistenza sembra ricapitolarsi nel breve volgere di un attimo, e poi precipitare verso il nulla. Così si presenta questo originale libro<br />
narrativo di Marco Ercolani che mette in scena le voci narranti di artisti come Paolo Uccello, Leonardo, Cézanne, Giacometti, Melotti, Bacon, o<br />
scrittori e poeti come Baudelaire, Nerval, Goethe, Artaud, Bachmann. Il genere che Ercolani usa per recitare i frammenti di esistenza dei<br />
personaggi è assai differente: diario, lettera, conferenza, monologo interiore, racconto testimoniale, intervista, testo teorico: ne risulta un<br />
volume da leggersi come livre de chevet, una meditazione sul destino dell’uomo e lo scopo dell’arte.<br />
Marco Belpoliti, da Il sogno della realtà in voci di artisti, ne “Il Manifesto - Talpalibri”, 9/3/1995<br />
* * *<br />
Ogni scrittura è apocrifa nel senso che «la pagina nata dalla volontà dello scrittore parla della sua alienità alle norme sociali, parla del gettarsi<br />
con violenza verso il proprio destino». Il fondo non storicizzabile dell’opera sta qui. L’artista che rappresenta il mondo rappresenta se stesso nel<br />
mondo. Rappresenta la sua inoggettivabile soggettività in mezzo a cose altrettanto inoggettivabili. L’opera sfugge alla presa della<br />
storicizzazione o dell’estetica o del commento, perché mina le basi su cui queste pratiche fondano il loro agire: la separazione tra soggetto e<br />
oggetto, che ha «illuminato» e «ordinato» il mondo scorticandolo però della sua ombra, quella che si proietta dalla sconvolgente intimità<br />
dell’uomo.<br />
Franco Rella, da La vita e le opere, a proposito di Vite dettate, ne “L’Unità”, 27/3/1995<br />
* * *<br />
[…] Uno scritto apocrifo - più che essere tale - dovrebbe suo malgrado diventarlo, ma Ercolani rinuncia da principio: i suoi testi sono<br />
volontariamente apocrifi; lo sono in maniera congenita, e non per disavventura. Sono risolutamente anacronistici, deliberatamente erronei e<br />
apertamente furtivi, se è vero che giungono a noi nell’ombra del suo nome, e solo più tardi prendono il nome di coloro a cui sono attribuiti.<br />
Questi scritti sono definitivamente apocrifi perché il loro vero autore li sconfessa, dicendoli suoi proprio mentre li dice altrui. Perché questa<br />
procedura<br />
Marco<br />
Ercolani<br />
[3] Elias Canetti, La<br />
tortura delle mosche,<br />
tr. it. Milano, Adelphi,<br />
1993, p. 131.<br />
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