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Arcipelago Itaca 7

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Dalle opere di narrativa<br />

Marco<br />

Ercolani<br />

52<br />

Da Discorso contro la morte, 2008<br />

Discorso contro la morte<br />

Sermone pronunciato da John Donne la notte di Natale del 1630, nella chiesa di Saint Paul.<br />

Solo adesso arrivo a parlarvi, miei fedeli. Educato fra uomini abituati al disprezzo della vita e al culto dei morti, affamati di<br />

un immaginario martirio e di una tormentosa trascendenza, oppressi dal cilicio di una religione oscura come una tara<br />

inconfessabile, solo adesso arrivo a parlarvi, come dopo un lungo viaggio.<br />

Ora siamo nudi, qui, nella chiesa di Saint Paul, e non possiamo tacere. I nostri abiti sono quella piccola montagna di stracci<br />

ammucchiata davanti al portale. Ma non vergognatevi. Nessuno entrerà. La porta è stata sbarrata dall'interno con un trave<br />

di legno. È quasi mezzanotte e nessuno potrà vederci così come siamo. Dowland ha acceso questo grande fuoco al centro<br />

della chiesa, che ci scalda tutti. Non possiamo avere freddo. Dobbiamo restare in preghiera - noi, chiusi in questo silenzioso<br />

mausoleo con i nostri corpi nudi, nudi come lo furono alla nascita, senza lo straccio di una veste, senza l'orpello di un abito,<br />

scorticati da ogni lusso superfluo - con tutti i nostri corpi, giovani, vecchi, bambini, adulti, nel giorno della massima festività:<br />

il Natale del 1630, la nascita di Cristo, Nostro Signore.<br />

Il cuore mi si colma di commozione. Quasi non riesco a proferire parola. Come siete diversi tutti. Il tempo è leggero su<br />

quelle braccia, pesante su quella schiena, funesto su quel cranio, atroce su quelle gambe. Vi vedo tutti - non posso farne a<br />

meno. Vedo la vita in cammino, come il suo muto gemello, il Signore della Morte. Dio passa dentro di voi. Quell'addome<br />

magro, Katherine, ieri era florido e ha generato Anna Porter, vostra figlia. Quel braccio che ieri lavorava duramente nei<br />

campi, Summer, adesso è lì, raggrinzito sul volume di preghiere. Vi vedo con chiarezza, come un cartografo la mappa delle<br />

terre che esplorerà.<br />

Ma i vostri pensieri sono le cose più incredibili: affollano questo luogo da ogni parte, sono uno sciame di cose tranquille e<br />

atroci, chi vorrebbe ammazzare il vicino di campo, chi cullare la figlia, chi mangiare un arrosto di cervo, chi fare all'amore<br />

con la donna dell'amico. Voi che ora mi ascoltate e arate dei campi e nutrite delle famiglie, non avete mai sentito parlare,<br />

da bambini, di apostasie, anatemi, abiure, sentenze. Non siete stati allontanati, a sei anni, da un drappello di militari che<br />

conducevano l'eretico alla forca: non vi hanno coperto il viso, come fecero a me, obbligandomi a giurare di non fare parola<br />

di quello scandalo. Io, che sentii solo il rullo dei tamburi, non promisi però di non immaginare: così vidi me stesso, issato<br />

sulla forca, il cappuccio sulla testa, ma, nel momento in cui la botola avrebbe dovuto aprirsi, la terra tremò, franò la forca, e<br />

io ero là, nudo e ispirato, la morte negli occhi, che soggiogavo tutti con le parole e cambiavo il corso del mondo.<br />

Ognuno di voi, lo sapete, è nato da un luogo buio, lì ha preso forma: e, dentro il corpo della madre, è nato e si è nutrito, per<br />

nove mesi. Ma, se quel tempo non fosse stato rispettato, se il feto avesse avuto qualche malattia, la morte avrebbe ucciso<br />

le madri e i figli, e qui ci sarebbero dei posti vuoti e io non potrei guardare negli occhi persone che hanno vissuto una vita<br />

intera, di felicità o di stenti, perché non sarebbero mai esistite, perché un piccolo germe, quel giorno di primavera o di

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