SECONDA PARTE. INDAGINE SUGLI STUDENTI INTERNAZIONALIla metà (47,0%) concilia lo studio con un’attività lavorativa a fronte degli <strong>studenti</strong> giuntitra il 2006 e il 2010 (34,8%) e quelli arrivati negli ultimi due anni (23,3%).Per quel che concerne la collocazione geografica di iscrizione universitaria, osserviamodifferenze man mano che si scende lungo lo stivale del Paese. Infatti oltre la metàdegli <strong>studenti</strong> che vivono al Nord combina lo studio con il lavoro (53,4%), a differenzadegli <strong>studenti</strong> delle regioni centrali (31,8%) e meridionali (31,5%). La situazione occupazionalevaria quindi in base all’area geografica di insediamento laddove nel Nord Italiaassistiamo a una maggiore diffusione del lavoro studentesco e delle opportunità offertedal mercato del lavoro.È interessante notare anche il forte legame con il livello di istruzione della famiglia diorigine. <strong>Gli</strong> <strong>studenti</strong> lavoratori infatti hanno genitori caratterizzati da uno status culturalegeneralmente inferiore rispetto alla media. Con l’aumentare del tasso di scolarizzazionediminuisce la probabilità di studiare e lavorare contemporaneamente. Tra gli <strong>studenti</strong> congenitori entrambi laureati la percentuale di quelli che lavorano è pari al 29,5% a frontedi coloro che provengono da famiglie con basso livello di istruzione (37,7%).Fig. 2.1: Studenti lavoratori per età, periodo di arrivo in Italia e area geografica (%)Fino a 30 anni31,968,1Oltre 30 anni44,255,8Prima del 2006Dal 2006 al 201034,847,065,253,0Tra il 2011 e il 201223,376,7Nord53,446,6CentroSud31,831,568,268,50% 50% 100%Studenti lavoratoriNessuna esperienza lavorativaFONTE: International Student Survey EMN Italy-CNR/IRPPS-IDOSSpostandoci all’ambito universitario, mentre non è emersa una significativa correlazionetra il titolo di studio posseduto e la probabilità di svolgere un’attività lavorativa, latipologia del corso di studio sembra invece influenzare la dinamica del lavoro studentesco.Tra coloro che sono iscritti a un corso di laurea (primo livello, magistrale o vecchio115
VI RAPPORTO EMN ITALIA - GLI STUDENTI INTERNAZIONALI NELLE UNIVERSITÀ ITALIANEordinamento) si registra infatti una percentuale più elevata rispetto agli <strong>studenti</strong> chestanno studiando per il conseguimento di un titolo post-lauream (master, specializzazionee dottorato) rappresentando rispettivamente il 38% e il 26,4%.Un’ulteriore relazione è quella che intercorre tra lavoro e regolarità negli studi. Tracoloro che lavorano, infatti, c’è un’incidenza di <strong>studenti</strong> non in corso con gli esami maggiorerispetto a coloro che non svolgono alcuna attività lavorativa (44% e 37,1%). Il lavoropuò rappresentare, quindi, una delle cause di rallentamento degli studi dal momentoche gli <strong>studenti</strong> lavoratori non sempre possono riuscire a conciliare lo studio con l’attivitàlavorativa e questo sicuramente influisce sulla durata dei loro impegni universitari. L’altonumero di corsi e laboratori, specialmente quelli a frequenza obbligatoria in riferimentosoprattutto alle facoltà scientifiche, può indubbiamente far aumentare la tendenza adandare fuori corso oltre la normale durata degli studi.Iniziativa personale e reti informali nella ricerca del lavoroTra gli <strong>studenti</strong> lavoratori ben il 45,8% ha trovato un lavoro da solo. <strong>Gli</strong> altri principalicanali sono quelli del network relazionale informale di parenti e amici connazionali(20,3%) e di amici italiani o di altre nazionalità (16,5%). In misura nettamente inferiorecompaiono altre “agenzie facilitatici” di inserimento occupazionale registrando valori deltutto insignificanti (stage o corso di formazione, agenzia interinale, organizzazione divolontariato laico, istituzione ecclesiastica, cooperativa, servizio pubblico).Senza ombra di dubbio l’accumulazione di esperienza nella società ricevente nonchéle conoscenze e competenze linguistico-formative comportano un’elevata probabilità dipoter avvalersi unicamente delle proprie forze senza, cioè, dover far ricorso ad ulterioricanali. Tuttavia, nonostante la spiccata capacità e autonomia degli <strong>studenti</strong> stranierinel trovare un impiego, le reti sociali informali, sia familiari che amicali, rappresentanoindubbiamente un valido strumento per uno sbocco occupazionale e per i processi chepresiedono all’accesso, alla permanenza e alla mobilità lavorativa costituendo complessivamenteil 36,8%. Inoltre, l’utilizzo dei network sociali consente la riduzione dei costiumani e dei tempi di ricerca nonché l’accelerazione dell’incontro tra domanda e offerta. Siinnescano così meccanismi di solidarietà e mutuo aiuto, laddove viene avviata un’efficacecircolazione delle informazioni che agevolano l’accesso all’impiego.Le risorse relazionali dei network informali, spesso fondati su una comune appartenenzanazionale, costituiscono dunque quel capitale sociale utile all’attuazione di strategiedi inserimento nel mercato del lavoro e alla strutturazione dell’azione economica inpiù ampi contesti sociali al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.Oltretutto, alla luce della prevalenza degli <strong>studenti</strong> lavoratori insediatisi da più temponella società italiana, essi stessi potrebbero, a loro volta, trasformarsi in facilitatori deipercorsi di inserimento lavorativo per i nuovi <strong>studenti</strong>.116