PrefazionePREFAZIONEPREFETTO ANGELA PRIACapo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno“Ieri sera … entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno,coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte;tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore,dopo aver parlato all’orecchio del maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, cheguardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano,e disse alla classe: -Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italianonato a Reggio Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratellovenuto da lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri…;in una delle più belle terre della nostra patria, dove sono grandi foreste e grandimontagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno e di coraggio. Vogliategli bene, in manierache non s’accorga di essere lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzoitaliano, in qualunque scuola d’Italia mette piede, ci trova dei fratelli …”.Qui a parlare, più che il maestro Perboni, è direttamente Edmondo De Amicis che,insieme a Carlo Collodi, con “Le avventure di Pinocchio” e più in generale nel contestodi quel nuovo genere letterario che fu la narrativa per ragazzi, avrebbe contribuito allacreazione di una coscienza nazionale.Non dobbiamo mai dimenticare, tuttavia, che, a pochi anni dall’unificazione, l’Italiaera un Paese socialmente diviso, dove l’analfabetismo non aiutava certo a superare diffidenzedi classe e pregiudizi geografici.Fu la scuola a fungere da fattore di coesione, per lo meno sino alla fine del secondoconflitto mondiale, quando ad essa si affiancarono la radio e la televisione. E quanta stradaessa ha compiuto sino ad oggi, se si pensa al regolamento voluto dal piemontese LuigiCibrario, il 21 agosto 1853, per disciplinare il funzionamento degli asili nido, delle scuoleelementari, magistrali e tecniche, alla legge Lanza del 1859, alla legge Coppino del 1877e poi su su sino alle riforme contemporanee degli anni ‘70 del XX secolo.E quanto è cambiata la nostra scuola, con le sue classi, dagli asili sino all’università,sempre più popolate non solamente da <strong>studenti</strong> italiani, certamente più coesi che centocinquant’annifa, ma anche stranieri, provenienti dalle più disparate parti del mondo.Questo VI Rapporto di EMN Italia fornisce, al riguardo, una fotografia dell’esistentemolto interessante sulla popolazione studentesca straniera <strong>nelle</strong> università <strong>italiane</strong>, cheoggi raggiunge la soglia di poco più di 60mila unità, tre volte superiore rispetto aglianni ’90.5
VI RAPPORTO EMN ITALIA - GLI STUDENTI INTERNAZIONALI NELLE UNIVERSITÀ ITALIANEEd è l’università, in particolare, ad essere al centro di questa indagine, con la suavalenza simbolica e strategica al tempo stesso e ciò perché in essa riecheggiano gli altivalori della libera cultura e del libero insegnamento, funzionali alla creazione delle classidirigenti del domani, non importa se nazionali o straniere.Un’università moderna e libera è, indubbiamente, uno strumento fondamentale dicrescita sociale anche dei Paesi dove un domani gli <strong>studenti</strong> stranieri torneranno con piùresponsabilità e maggiore consapevolezza del loro ruolo sociale.Questo discorso porta a due considerazioni di base.La prima è che le risorse da destinare al sistema scolastico e universitario non sonouna spesa, ma un investimento per la crescita e lo sviluppo; e maggiori investimentisignificano in primo luogo più attenzione per la ricerca in tutti i campi del sapere umanisticoe scientifico: un’università di eccellenza è alla base di offerte formative altamentecompetitive nel mondo globalizzato.La seconda considerazione è che investire nella scuola e nell’università significa consentireun graduale ammodernamento del sistema infrastrutturale: nuove aule, nuovi laboratorie, perché no, una nuova politica della casa dedicata proprio alla popolazionestudentesca italiana e straniera, che consenta un abbattimento reale dei costi di studioe una maggiore mobilità degli <strong>studenti</strong> stessi fra tutti gli atenei presenti sul territorionazionale. Si parte da qui, in fin dei conti, per qualsiasi ragionamento riguardante unabuona politica dell’accoglienza.Non ha senso, infatti, parlare di accoglienza degli <strong>studenti</strong> stranieri se non si tienenella dovuta considerazione la necessità di rendere più accoglienti i luoghi ove il sapereviene coltivato e diffuso. E noi italiani, da questo punto di vista, abbiamo un precisoobbligo morale, perché siamo stati noi, in Europa, i primi ad inventare le università e arichiamare a Bologna ad esempio, e sin dal medioevo, <strong>studenti</strong> francesi, tedeschi, spagnoliche nel nostro Paese andavano alla ricerca del sapere.In questa direzione, risulta un punto di merito, fra i tanti, del presente volume quellodi aver realizzato un’ampia ricerca sul campo, curata da IDOS, con la collaborazionedell’Istituto IRPPS del CNR, di altri centri studio e diversi atenei, che consente di conoscerel’esperienza di studio in Italia nei suoi diversi aspetti, dagli adempimenti burocratici,alla sistemazione logistica, alle spese da sostenere, alle difficoltà economiche, alrapporto con l’ambiente circostante, al grado di soddisfazione e alle cose che si auspicavengano migliorate.Per riprendere, adeguandole al presente, le parole del De Amicis, l’Italia deve insommafar sì che uno studente, da qualunque parte esso provenga, “… non s’accorga di esserelontano dalla città dove è nato...” e che “... in qualunque scuola d’Italia metta piede...”si senta a casa sua.6
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