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Gli studenti internazionali nelle università italiane - West

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CONCLUSIONIcongrue. Per l’immigrazione presa nel suo complesso (milioni di presenze), ma anche pergli <strong>studenti</strong> <strong>internazionali</strong> (decine di migliaia attualmente, ma molti di più se si tenderàa raggiungere il livello degli altri grandi Paesi europei), l’elevata dimensione quantitativasi configura come una esigenza obiettiva di una maggiore organizzazione.Diversi spunti al riguardo sono emersi anche nella presente indagine.A livello più generale, è indispensabile che il “sistema Italia” si configuri attrattivoanche a livello professionale e si presenti come uno sbocco promettente per una maggiorequota di <strong>studenti</strong> <strong>internazionali</strong> che hanno compiuto o completato qui la loro carriera,facendo dell’Italia una “azienda internazionale”, cosa che già attualmente avviene masolo a livelli più bassi o per realtà ristrette. Non mancano quelli che si propongono direstare qui, ma molto più numerosi sono quelli che intendono rimpatriare (prospettivada sostenere per non privare i Paesi di origine di élite preparate) o recarsi in altri Paesi,ritenuti in grado di offrire collocazioni più soddisfacenti dal punto di vista della carriera:così pensano e fanno anche molti giovani italiani e ciò non è un fattore gratificante.Bisogna fare di tutto affinché l’Italia non sia solo un Paese di passaggio e, perquanto riguarda l’università, è indispensabile renderla non solo più apprezzabile quantoai saperi che trasmette, ma anche per il contorno amministrativo: in particolare è statolamentato che agli <strong>studenti</strong> che si trattengono per un trimestre, il permesso di soggiorno,nonostante i ripetuti spostamenti burocratici degli interessati, sia stato consegnato soloqualche giorno prima del ritorno in patria. Un Paese sensibile al diritto internazionale allostudio dovrebbe anche facilitare l’accesso dei giovani meritevoli anche se non di “buonafamiglia” (in 6 casi su 10 almeno uno dei genitori degli intervistati ha conseguito lalaurea e, ciò, lascia supporre che vengano selezionati i più benestanti). Alla mancanza diun sostegno pubblico non sempre si può rimediare con il lavoro prestato come <strong>studenti</strong>(si tratta quasi di un terzo dei casi) e, quando lo si fa, ciò può influire sul rendimento.È controverso se la possibilità di attirare un maggior numero di <strong>studenti</strong> <strong>internazionali</strong>dipenda solo unicamente dal fatto che le lezioni vengano svolte in lingua inglese e nonè mancato chi ha ritenuto più opportuno preferire che la lingua inglese sia riservataalle discipline più tecniche, utilizzando per le altre l’italiano. In effetti, la lingua di unPaese è un indispensabile mezzo di comunicazione durante il periodo di permanenza, sianell’ambito universitario sia in presa diretta con quella che è la vita di un popolo e dellacittà in cui vive: si pensi alle locuzioni che si sentono per strada, alle insegne, ai giornali,alla Tv e specialmente, agli incontri con i residenti (non di rado coronati da un legameaffettivo). L’inglese come mezzo di comunicazione formale e l’italiano come lingua divita vissuta possono e devono conciliarsi, e a tal fine sarebbe opportuno potenziare leopportunità di studio dell’italiano all’estero come, peraltro, è avvenuto per metà degliintervistati. Chi ha studiato la realtà degli italiani all’estero sa quanto questa posta ingioco sia importante 1 .1Cfr. <strong>nelle</strong> Edizioni IDOS, dal 2006 al 2012 il Rapporto Italiani nel Mondo, curato per la Fondazione Migrantes.201

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