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Le Giornate del Cinema Muto 2006 Sommario / Contents

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I restauri<br />

Versione muta<br />

Meritano tutti un applauso: dal direttore <strong>del</strong> Museo <strong>del</strong> <strong>Cinema</strong> di<br />

Torino, Alberto Barbera, al suo staff – soprattutto Donata Pesenti<br />

Campagnoni e Silvio Alovisio – al brasiliano João Socrates de<br />

Oliveira (PresTech Film Laboratories Limited, Londra), responsabile<br />

tecnico di un nuovo restauro di Cabiria (per la quarta volta<br />

dall’ultima uscita <strong>del</strong> film nel 1914) realizzato con una competenza<br />

pari all’umiltà di intenti. In termini storiografici, l’importanza<br />

<strong>del</strong>l’operazione è pari a quella <strong>del</strong> restauro di Intolerance curato dal<br />

Museum of Modern Art nel 1989. Come accadde allora all’operamonstre<br />

di Griffith (e come ammette lo stesso de Oliveira), questo<br />

Cabiria non è un’edizione “definitiva”, non più di quanto possa<br />

esserlo qualsiasi lavoro di restauro.Vediamo perché.<br />

Credo sia la prima volta che il restauro di un classico <strong>del</strong> cinema<br />

muto abbia come risultato una versione più corta <strong>del</strong>la precedente.<br />

Ero poco più che uno studente quando mi era stata data la<br />

possibilità di consultare una bella copia in nitrato alla Cineteca<br />

Nazionale di Roma, dove avevo constatato che buona parte <strong>del</strong>la<br />

scena <strong>del</strong> sacrificio al Moloch era stampata su pellicola<br />

pancromatica Agfa, <strong>del</strong> tutto diversa dal supporto ortocromatico<br />

utilizzato nel resto <strong>del</strong> film. E sì che in quella scena si vede un<br />

sacerdote <strong>del</strong> tempio di Moloch cantare a squarciagola per diversi<br />

minuti, fatto improbabile per un film <strong>del</strong> 1914. Si era ipotizzato che<br />

questa lunga sezione dovesse essere accompagnata dalla Sinfonia <strong>del</strong><br />

fuoco di Ildebrando Pizzetti, ma l’ipotesi faceva a pugni con i fatti: la<br />

collaborazione fra Pizzetti e Pastrone fu tutt’altro che felice, e il<br />

regista si decise a relegare la nuova composizione per coro e<br />

orchestra a prologo <strong>del</strong>lo spettacolo.<br />

<strong>Le</strong> sezioni su pellicola Agfa erano state girate dopo il 1926, e<br />

utilizzate per la riedizione sonorizzata <strong>del</strong> 1931. Il nuovo restauro<br />

<strong>del</strong> Museo <strong>del</strong> <strong>Cinema</strong> ha perciò comportato – finalmente! – l’<br />

eliminazione di queste inquadrature (150 metri in tutto) dalla<br />

versione 1914. Una copia di distribuzione spagnola conteneva<br />

tuttavia circa 100 metri di pellicola assenti dagli altri esemplari<br />

finora utilizzati (fra essi alcuni materiali provenienti dal Museum of<br />

Modern Art e dal Gosfilmofond di Mosca). Il risultato non è solo un<br />

Cabiria con cinquanta metri in meno rispetto all’ultimo restauro <strong>del</strong><br />

1995; è anche un Cabiria dalla qualità visiva inevitabilmente<br />

diseguale, che passa nel giro di pochi secondi dallo splendore di<br />

un’immagine tratta da ottimi materiali alla mediocrità di un<br />

duplicato di sesta generazione.<br />

Detto questo, occorre sottolineare che il restauro <strong>2006</strong> <strong>del</strong> Cabiria<br />

1914 è un’edizione di ricerca, non di spettacolo, e non gli si può<br />

rimproverare di aver seguito rigorosamente una metodologia che<br />

condividiamo. Il problema non è d’altronde nuovo: lo si è visto<br />

emergere in numerosi progetti analoghi – dal citato Intolerance nella<br />

versione MoMA 1989 al recente caso di un blockbuster <strong>del</strong> muto<br />

australiano, The Sentimental Bloke (Raymond Longford, 1919),<br />

110<br />

presentato l’anno scorso alle <strong>Giornate</strong> <strong>del</strong> <strong>Cinema</strong> <strong>Muto</strong>. Né esiste<br />

una soluzione ideale al problema. Quando vale la pena di aggiungere<br />

venti fotogrammi dal contrasto esagerato a un’inquadratura<br />

dall’aspetto eccellente? Forse quando quei venti fotogrammi<br />

aggiungono qualcosa al significato <strong>del</strong>la scena? Quando aiutano il<br />

direttore d’orchestra a seguire il film con la partitura originale? Il<br />

più <strong>del</strong>le volte è una questione di gusto, dunque non è una scienza,<br />

in ironica contraddizione con la premessa culturale <strong>del</strong>l’iniziativa.<br />

Ma è la regola <strong>del</strong> gioco: non per nulla si dice che il restauro di un<br />

film è un costante work in progress, e il Museo <strong>del</strong> <strong>Cinema</strong> ha già<br />

annunciato qualche ritocco al risultato finora ottenuto. Dopo le<br />

versioni curate da Maria Adriana Prolo nel 1977 e da Paolo<br />

Bertetto e Sergio Toffetti nel 1995, il nuovo Cabiria compie un altro<br />

spettacolare balzo in avanti alla ricerca <strong>del</strong>la Versione Ideale. Non la<br />

si può chiamare “autentica”, ma è la più vicina ad esserlo. – PAOLO<br />

CHERCHI USAI (estratto [riveduto dall’autore] da Segnocinema 139,<br />

maggio-giugno <strong>2006</strong>, pp. 72-73)<br />

Versione sonorizzata<br />

La riedizione sonora curata da Pastrone nel 1931 è la vera sorpresa<br />

<strong>del</strong>l’operazione di restauro a cura <strong>del</strong> Museo <strong>del</strong> <strong>Cinema</strong> di Torino:<br />

le ragioni <strong>del</strong>lo spettacolo e <strong>del</strong> rigore scientifico confluiscono qui<br />

in una sintesi felice e a tratti entusiasmante. Se la nuova versione<br />

1914 di Cabiria è un bell’esempio di restauro integrativo, si<br />

potrebbe definire quella <strong>del</strong> 1931 un trionfo <strong>del</strong> restauro<br />

conservativo. Consapevole <strong>del</strong>la differenza fra un’immagine girata a<br />

16 fotogrammi al secondo e la sua reincarnazione a 24 fps, Pastrone<br />

aveva scartato l’ipotesi <strong>del</strong>la colonna sonora sulla pellicola a favore<br />

<strong>del</strong>la sincronizzazione con dischi fonografici. La velocità di<br />

proiezione originale era stata portata a 20 fps, e i dischi erano stati<br />

incisi in modo tale da dover essere suonati con un fonografo la cui<br />

velocità era stata modificata da 33 1/3 giri al minuto a 27 e mezzo.<br />

La versione 1931 esiste ancora, praticamente senza difetti a parte<br />

tre giunture; esistono anche i dischi, dai solchi molto rovinati ma<br />

altrimenti intatti. João Socrates de Oliveira ha riportato il film alla<br />

velocità di 20 fotogrammi al secondo, trascritto e ripulito il suono<br />

con l’aiuto <strong>del</strong>la tecnica digitale, e ha aggiunto brevissimi spezzoni<br />

di pellicola neutra nelle parti corrispondenti alle giunture,<br />

ottenendo con ciò una sincronizzazione perfetta, che rende<br />

finalmente giustizia al lungo vociare <strong>del</strong> gran sacerdote nella scena<br />

<strong>del</strong> sacrificio a Moloch al punto da mettere virtuosisticamente in<br />

risalto la corrispondenza fra voce registrata e movimenti labiali <strong>del</strong><br />

solista. Nessuno aveva ascoltato quei dischi in più di settant’anni. Ci<br />

sono voci femminili nella partitura di Luigi Avitabile e José Ribas, e<br />

sono convinto che alcuni fra i cantori che circondano il gran<br />

sacerdote siano donne con i baffi posticci. – PAOLO CHERCHI USAI<br />

(estratto [riveduto dall’autore] da Segnocinema 139, maggio-giugno<br />

<strong>2006</strong>, pp. 72-73)

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