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Le Giornate del Cinema Muto 2006 Sommario / Contents

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<strong>del</strong>l’interpretazione, il tipo di inquadratura, e perfino il particolare uso<br />

<strong>del</strong>le didascalie, che grazie al loro potenziale emotivo e<br />

confessionale fanno apparire quasi incandescente un film<br />

apparentemente modesto come questo.<br />

Sergej Ejzenstejn analizza D.W. Griffith come un artista diviso,<br />

evidenziando la frattura tra il Griffith moderno, urbano, velocizzato<br />

e il Griffith tradizionalista, rurale e pastorale. True Heart Susie<br />

appartiene sicuramente al secondo filone, ma la barriera che in tutti<br />

i suoi film di ambientazione pastorale si frappone tra la tradizione e<br />

il mondo moderno – e in special modo tra mondo urbano e mondo<br />

rurale – qui si è spezzata, e proprio da questa contaminazione<br />

nascono lo spunto drammatico e la tensione emotiva <strong>del</strong> film. Qui,<br />

come già in Way Down East, in A Romance of Happy Valley, e perfino<br />

in The White Rose, lo spostamento dalla città alla campagna e il<br />

successivo ritorno comportano conseguenze tragiche per i<br />

personaggi: la realtà dei due mondi è talmente conflittuale che i<br />

nostri eroi non sanno più a quali mo<strong>del</strong>li di comportamento riferirsi.<br />

È interessante notare come in tutti questi film, i personaggi e (il<br />

dramma) devono tornare in campagna (nella maggior parte dei casi<br />

il tempo che i personaggi trascorrono in città si traduce, in termini<br />

di durata cinematografica, in episodi piuttosto brevi – anche se<br />

gravidi di importanti conseguenze).<br />

Inoltre, sarà interessante notare come la stilizzazione di Griffith non<br />

si limiti qui al semplice contrasto tra l’urbano e il rurale, ma anche<br />

tra l’epico e l’intimo (che John Belton, nel suo approfondito saggio<br />

“True Heart Susie” – 1983 – definisce una frattura tra l’epico e il<br />

lirico; mentre William Rothman, nel suo bel saggio “True Heart<br />

Griffith” – 1988 – fa una distinzione tra dramma epico e “dramma<br />

intimo”). Nel mio saggio su Intolerance (apparso nel nono volume <strong>del</strong><br />

Griffith Project) ho sottolineato la relazione tra queste due modalità<br />

narrative, individuando il loro corrispettivo figurativo nel contrasto<br />

tra campo lungo e primo piano. Questo porta a inevitabili<br />

semplificazioni sulla tecnica narrativa di Griffith, ma al contempo<br />

aiuta a rivelare le sue motivazioni nella scelta di una inquadratura.A<br />

lungo è stato (erroneamente) accreditato l’assioma Griffith/padre<br />

<strong>del</strong> primo piano. Nell’auto-promozione pubblicitaria <strong>del</strong> proprio<br />

mito apparsa a pagamento sulla stampa di categoria verso la fine <strong>del</strong><br />

1913, mentre si accingeva a lasciare la Biograph Company, Griffith<br />

proclamava non solo di aver introdotto per primo “le figure molto<br />

ravvicinate, ovvero i primi piani” ma anche “le vedute di lontano”.<br />

Dal periodo Biograph in poi, Griffith ha sempre fatto ampio uso<br />

<strong>del</strong>le riprese in campo lungo per filmare ampi movimenti di massa<br />

(attacchi di indiani, battaglie <strong>del</strong>la guerra civile, la marcia di Sherman<br />

verso il mare, l’assedio di Babilonia) conferendo ai suoi film una<br />

dimensione epica. Per quanto riguarda invece i primi piani, all’inizio<br />

gli erano serviti a conferire enfasi drammatica ai film Biograph,<br />

enfatizzando piccoli oggetti quali la saponetta che nasconde i gioielli<br />

in Betrayed by a Handprint (1908) o la chiave inglese in The Lonedale<br />

Operator (1911). Ma, nei lungometraggi, i primi piani cominciarono a<br />

svolgere un ruolo molto più complesso rispetto al semplice<br />

84<br />

ingrandimento fotografico di oggetti di cruciale importanza.<br />

L’atmosfera di intimità dei film di Griffith non deriva solo dai primi<br />

piani, ma anche dal loro uso in funzione <strong>del</strong>la recitazione. In True<br />

Heart Susie, il volto di Lillian Gish diventa un campo di battaglia di<br />

emozioni, non esprimendo semplicemente una singola ed essenziale<br />

emozione o reazione, ma mettendo in scena una serie successiva di<br />

complessi drammi di percezione, agnizione e disperazione. Si veda ad<br />

esempio il primo piano di Susie/Gish quando scorge William<br />

abbracciare Bettina dopo che questa ha accettato la sua proposta di<br />

matrimonio. La descrizione a parole serve solo a confermare<br />

l’inadeguatezza <strong>del</strong> linguaggio rispetto alla immediatezza espressiva<br />

<strong>del</strong> volto umano, ma al fine di focalizzare l’attenzione <strong>del</strong>lo<br />

spettatore (o la sua memoria) su quel particolare momento, vale<br />

comunque la pena di tentare.All’inizio, Susie/Gish ha un’espressione<br />

pensierosa e tiene gli occhi fissi verso il basso, mentre solleva<br />

lentamente una mano verso l’orecchio, che sfiora con le dita in<br />

modo quasi astratto, come se si stesse arrovellando su un<br />

rompicapo intellettuale. Poi ridacchia un po’, forse riconoscendo<br />

l’assurdità di un amore non dichiarato ormai da troppo tempo, o<br />

forse convincendosi per un istante di aver mal interpretato ciò che<br />

ha appena visto. Quindi lancia una fugace occhiata verso la coppia,<br />

spalanca gli occhi, e mentre il suo sorriso svanisce, il suo dito<br />

mignolo comincia a giocherellare col labbro inferiore. Poi guarda di<br />

nuovo verso sinistra, ora con maggiore intensità, tenendo il dito in<br />

bocca. Infine, dondolando la testa con incertezza, spalanca gli occhi<br />

e guarda in macchina, come se stesse per svenire.<br />

Per tutta la durata di True Heart Susie, la performance degli attori, il<br />

montaggio e il racconto creano un punto di vista che ci coinvolge in<br />

profondità con l’esperienza dei personaggi. Tuttavia, questo<br />

coinvolgimento contiene qualche elemento in più (o in meno) <strong>del</strong>la<br />

mera identificazione. Per Griffith, la condivisione di un dramma<br />

intimo implica anche la consapevolezza di una certa distanza, la<br />

stessa che si presenta in una qualsiasi occasionale esperienza<br />

emotiva ravvicinata. Per questo la vicenda di Susie ci coinvolge<br />

profondamente e ci fa sentire molto vicini a lei, né più né meno<br />

come accade alla stessa Susie quando è costretta a stare al fianco di<br />

Bettina, con cui deve dividere il letto, malgrado la rabbia, perché<br />

Bettina sta ingannando William, malgrado l’invidia, perché l’altra<br />

possiede l’unica cosa che Susie ama veramente e, oltretutto, senza<br />

apprezzarla. La vicinanza e l’intimità implicano il superamento di una<br />

distanza di cui si è pienamente consapevoli.<br />

E tuttavia, pur seguendo con partecipazione la vicenda di Susie, e<br />

addolorandoci nel vederla col cuore spezzato, non condividiamo la<br />

sua naïveté. Noi siamo sempre un passo avanti, intuendo tutto quello<br />

che lei continua ad ignorare: la vanità di William e la sua incapacità<br />

di capire il mondo che lo circonda, ma anche la mancanza di<br />

determinazione <strong>del</strong>la stessa Susie nel pretendere ciò che potrebbe<br />

appartenerle. <strong>Le</strong> illusioni che si fanno entrambi sul funzionamento<br />

<strong>del</strong>le cose terrene – cui spesso le didascalie fanno riferimento come<br />

alla loro “fiduciosa aspettativa” – riflettono una certa avventata

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