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Questa crisi della comunicazione la evidenziò gia nel '90 un amico giornalista, Geppe Inserra,<br />
dopo aver seguito per dieci anni le vicende del Centro di Medicina Sociale e le sottostanti ricerche di<br />
nuova specie. Vi do da leggere una parte dell'appendice alla secoda edizione di "Droga, drogati e<br />
drogologi" in cui faceva le sue riflessioni sulla comunicazione.<br />
«Sì, i tempi sono cambiati. Anche per il giornalista "alla ricerca di strade più definitive" che ha<br />
ormai deciso di immergersi fino in fondo nel progetto che va maturando, nella ormai raggiunta<br />
consapevolezza che l'inadeguatezza del codice renda necessaria e urgente anche la messa a punto di<br />
una nuova tipologia della comunicazione: praticamente, che sono necessari nuovi e più raffinati "ferri<br />
del mestiere" per continuare a comunicare, a parlare con le persone, essendo la comunicazione il solo<br />
possibile "propellente del cambiamento".<br />
«Dire che oggi l'incomunicabilità è una delle ragioni più profonde del malessere generale che<br />
angustia l'umanità è un po' come scoprire l'aria fritta. In generale, i "professionisti della parola" si<br />
chiamano però fuori da questo processo. Un giornalista pensa sempre di comunicare. Fa niente se poi,<br />
per lo più, si tratta di una comunicazione illusoria. Grazie all'Esodo, ho avuto cognizione personale<br />
dell'inadeguatezza del mio essere giornalista a fronte dei problemi della comunicazione, del<br />
cambiamento.<br />
«Soprattutto, ho capito che il cambiamento non può essere soltanto teorizzato. Chi vuole che il<br />
mondo cambi deve cominciare a cambiare se stesso, il suo modo d'essere. Deve uscire dalla "tenda"<br />
delle certezze e della tranquillità per porsi in Esodo.<br />
Per quanto mi riguarda, sono sempre stato convinto che la comunicazione, l'informazione, siano<br />
un valore, una risorsa fondamentale per la nostra società. Di questa tesi resto ancora<br />
fondamentalmente convinto, ma, strada facendo, dopo aver collaborato con tanti giornali, dopo aver<br />
gestito diversi ufficio stampa, dopo aver cioè vissuto e sperimentato dal di dentro i processi più<br />
profondi della comunicazione e della informazione, mi sono accorto che qualcosa non va. Che<br />
qualcosa dev'essersi inceppato nei meccanismi che portano la comunicazione e l'informazione ad<br />
assurgere al valore di risorsa. Io so che un articolo, un comunicato stampa, un manifesto, una<br />
campagna di informazione opportunamente allestita e coordinata possono influenzare largamente<br />
l'opinione pubblica, inducendola a modificare i suoi comportamenti. Ma so anche che spesso questi<br />
articoli, queste campagne restano fini a se stessi: nel senso che propiziano, sì, un cambiamento, ma è<br />
un cambiamento che a sua volta resta isolato, effimero, incapace di incidere rispetto ai problemi<br />
crescenti della società. E che razza di comunicazione è mai questa, allorché comunica per cambiare,<br />
riesce finanche a cambiare, ma questo cambiamento... poi non cambia niente? Sono interrogativi<br />
angosciosi, credetemi, per chi vive facendo come mestiere quello del "comunicatore". Interrogativi ai<br />
quali, credo, si possa dare una risposta originale attraverso una lettura quadrimensionale dei<br />
processi di comunicazione e di informazione. (…).<br />
«Ma possiamo dire che se lo svuotamento dei significati e del senso della comunicazione (la<br />
comunicazione illusoria o non comunicazione) favorisce l'aggravamento dell'inquinamento psiché, il<br />
ripristino di processi di comunicazione vera (ma anche in questo caso adeguata alla complessità<br />
corrente) è uno dei meccanismi con cui lo stesso inquinamento può essere fronteggiato. Del resto, la<br />
comunicazione è, storicamente, lo sforzo che l'uomo opera per tornare al globale, per recuperare la<br />
dimensione unitaria della realtà frantumata dalla percezione di spazio e di tempo. Comunicando,<br />
l'uomo cerca di superare lo spazio che lo divide e lo separa dall'altro uomo, stabilendo con questi<br />
contatti, rapporti, relazioni.<br />
«La nostra epoca, scandita da una crescente complessità delle relazioni sociali, ha reso ancora più<br />
ardua la comunicazione. Il codice verbale si mostra sempre più inadeguato a cogliere, a<br />
rappresentare e a comunicare la complessità del "villaggio". Per restituire alla comunicazione il suo<br />
valore di "ritorno al globale" è necessario quindi individuare un nuovo codice, una nuova sintassi: il<br />
codice quadrimensionale propone la "comunicazione fusionale", che potrebbe essere anche una<br />
risposta nuova ai problemi posti dalla crescente complessità sociale. Utopia? Forse... Ma se il prezzo<br />
da pagare al realismo e alla concretezza del "villaggio globale" è l'incomunicabilità, io sto dalla parte<br />
dell'utopia».<br />
So che bisognerebbe fermarsi molto tempo sul problema "mass media", ma per brevità di tempo<br />
sottolineerò solo due aspetti.<br />
Il primo è che il prevalere di una informazione psicotica e spesso più attenta a fatti di facile e<br />
immediata presa (cronaca nera, problematiche a sfondo sessuale perverso, fotografari alla caccia di<br />
evenienze impazzite e a-normali, ecc.) ha prodotto e produce in continuità innumerevoli pezzi che<br />
appesantiscono e sgretolano la vita ordinaria dell'individuo, incapace a metabolizzare-elaborare e a<br />
includere in un Globale Massimo tutte queste provocazioni radioattive. Tutto ciò produce già una