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esperienze mitiche, racconti epici, storie di passione con spunti allusivi per risvegliare ed educare<br />
la sessualità dei giovani e per ribadire costumi e usanze.<br />
In genere la comunicazione privilegiava: il racconto di eventi concreti fatto direttamente dalla<br />
bocca di protagonisti; l'ascolto da parte di persone coinvolte e interessate a quel racconto;<br />
l'alternanza di ruoli; l'uso del corpo come amplificatore mimico; gli odori delle secrezioni corporee;<br />
i timbri e le modulazioni vocali personali; le frasi stornellate e le serenate per far giungere<br />
messaggi e giudizi mentre si faticava la terra o si aspettava l'amata sotto il balcone;<br />
l'intermediazione diretta e personale tra emittente-ricevente e facilitatore mediatico o "zanzano",<br />
che fungeva anche da garante notarile della parola data e degli impegni presi. In questo tipo di<br />
comunicazione fatta bocca a bocca, spesso per far circolare una notizia distante spazialmente si<br />
metteva parecchio tempo; una volta arrivata, mentre circolava, la notizia assorbiva lo specifico<br />
dello spazio in cui transitava e delle bocche che la rielaboravano con scarsa fedeltà e con molta<br />
inventiva personale.<br />
La fiction era inesistente, perché era vissuta direttamente nella situazione reale: sia nella vita<br />
sacrificata che ognuno faceva, già piena di contrasti-passioni-lacerazioni-vendette piene di odioattese<br />
magiche e fantastiche, sia nella ritualità e organizzazione simbolica fornite soprattutto<br />
dalle ricorrenze religiose.<br />
Gli stessi giocattoli erano manufatti in casa, approfittando di stoffe inservibili, materiale di<br />
risulta domestico, penne di galline, pezzi di legno, pietre lisce, linee tracciate sul terreno, funi<br />
usate per asciugare i panni trasformate in instabili altalene dondolanti, argilla presa appena<br />
fuori il paese, asperità del terreno in cui nascondersi, posizioni prone del corpo su cui saltare e<br />
farsi trasportare, ecc.. Giochi e giocattoli artigianali che sicuramente non si dimenticavano sia<br />
perché ricordavano i pochi momenti di gioco e di spensieratezza goduti, sia perché collegati alla<br />
grande rete tra bambini e alla definizione di criteri di socializzazione e di conflitti tra pari, senza<br />
la presenza degli adulti.<br />
Per la carestia, le ristrettezze economiche e relazionali, le malattie, i dissapori, la morte, ecc.<br />
scarsa o inesistente era la presenza dello Stato, privo di una vera e propria politica sanitaria,<br />
assistenziale sociale, di istruzione, di ordine pubblico. Ad eccezione di guerre ed epidemie,<br />
difficilmente bisognava reagire a eventi ampi, generali, nazionali, mondiali. Trattandosi di un<br />
orizzonte circoscritto, nel villaggio-mondo bisognava affrontare eventi negativi direttamente<br />
verificabili e controllabili nel recinto della gabbia, per i quali bisognava attingere a risorse e<br />
competenze locali-personali. Anche in questo caso le competenze venivano trasmesse dalla solita<br />
cataratta culturale che accoppiava ottimamente da una parte la solidarietà del vicinato legata<br />
alla filosofia popolare e alla tradizione, e dall'altra il messaggio religioso predicato in chiesa e<br />
accolto con semplicità nella propria vita.<br />
Il villaggio-mondo risolveva molti problemi con la solidarietà e l'ospitalità reciproca. La strada<br />
in cui si abitava era una specie di condominio. Non come adesso che abbiamo grattacieli in cui<br />
molte famiglie abitano ammucchiate l'una sull'altra verticalmente e senza comunicare… ma un<br />
grattacielo coricato a terra, con una strada in mezzo e le case una a fianco dell'altra. Non c'è<br />
paragone con la vita di accoglienza e di ospitalità che si viveva: se a uno mancava un po' di<br />
prezzemolo, un pezzo di pane, un arnese, o necessitava un piccolo prestito o un'altra opportunità<br />
andava alla porta del vicino o si rivolgeva alla rete dei compari e amici fidati. C'era appunto<br />
l'ospitalità o "hosti-poti", la bevanda (potis) che si dava allo straniero (hosti), al vicino, al<br />
dirimpettaio e lo si trasformava in ospite. Spesso, per superare un litigio familiare o col vicino di<br />
casa, si mangiava insieme. Per aiutare il vicino quando moriva un familiare, si partecipava<br />
l'intera giornata alla drammatizzazione collettiva per separarsi dal morto e ritornare<br />
gradualmente in vita. La sceneggiatura funebre prevedeva un'orgia di gesti-grida-lacrimemovimenti<br />
tonico-clonici vissuti in diretta mentre il volto del defunto sbiancava e il mento si<br />
irrigidiva. Le persone più vicine, oltre ad attutire quelle potenti scariche motorie da elettroshock<br />
funereo, cercavano periodicamente di stimolare la ripetizione del racconto di alcuni episodi di vita<br />
del defunto, specie degli eventi che avevano preceduto l'ultimo respiro e il definitivo saluto dalla<br />
terra, dei presentimenti avuti in sogno, dei presagi inascoltati, delle ultime parole e volontà<br />
proferite. E il ciclo di eventi ricominciava immodificato ogni qual volta una persona nuova<br />
entrava nella stanza mortuaria. E a ogni ciclo si consumava anche il lutto e la prostrazione. Per